Covid, il licenziamento per le assenze annullato 

La sentenza. L’azienda ha contestato alla donna undici giorni di mancata presenza ingiustificata  Lei era a casa per accudire la figlia piccola nel periodo in cui le scuole erano chiuse per il lockdown



Trento. Troppi giorni di assenza (undici) e dall’azienda per la quale lavorava in magazzino da oltre 20 anni, le è arrivata la lettera di licenziamento. Una doccia fredda per la donna che quei giorni di aprile si era assentata dal lavoro per seguire la figlia a casa visto che le scuole erano chiuse causa Covid. Nessun altro poteva restare con la piccola, ma questa spiegazione non è bastata al suo datore di lavoro. Che ha considerato quelle assenza come ingiustificate e ha comunicato il licenziamento per giusta causa.

Un provvedimento che è stato, però, annullato dal giudice del lavoro di Trento. Che ha quindi annullato il licenziamento, ordinato il reintegro in azienda della donna e deciso un’indennità risarcitoria pari agli stipendi che ha donna ha perso dal momento del licenziamento a quello della sentenza. Una vittoria importante per la donna che, quando aveva letto le lettera di licenziamento, dopo il comprensibile scoramento iniziale, ha deciso di impugnare il provvedimento.

Il Covid, le assenze

La lettera di licenziamento è di inizio maggio e la contestazione riguarda una serie di assenze ingiustificate, 11 giorni consecutivi ad aprile. In precedenza la donna - madre single di una bambina piccola - aveva aderito al congedo parentale, noto come congedo Covid e deciso dal governo per aiutare i genitori che si trovavano a gestire figli obbligatoriamente a casa a causa della chiusura “fisica” delle scuole. Se per i giorni coperti dal congedo l’azienda non aveva detto nulla, per le assenza successive le erano stati contestati degli addebiti disciplinari e quindi il licenziamento. Che come detto è stato impugnato. E per il giudice quel licenziamento va annullato perché privo della necessaria giusta causa.

Ferie e permessi

Nella sentenza, infatti, viene evidenziato come al momento delle assenze che sono state considerate ingiustificate la donna aveva ancora da smaltire un numero di ferie e di permessi arretrati che avrebbero potuto coprire il periodo indicato. E la stessa lavoratrice aveva inviato una mail alla sua azienda chiedendo le ferie per tutto il periodo di sospensione dell’attività scolastica. Perché per lei, per la sua condizione peculiare, era impossibile fare rientro prima che le classi riaprissero. Una richiesta “aperta” ma per il giudice chiaramente riconducibile alle conseguenze dell’emergenza sanitaria sulla gestione pratica del suo nucleo famigliare. E, sempre per il giudice, l’azienda non ha spiegato le ragioni di carattere produttivo che non potessero prevedere di concedere in quel periodo - in quegli 11 giorni - le ferie e i permessi che la donna aveva maturato. Insomma per il giudice l’azienda avrebbe dovuto non procedere disciplinarmente contro la sua dipendente ma consentirle di fruire di ferie e di permessi già maturati e anche di quelli che avrebbe maturato nel corso dell’anno. Il giudice non ha accolto invece l’aspetto del licenziamento ritorsivo, non trovandone gli elementi. Ma, come si legge in sentenza, per lui è stato certamente in licenziamento senza giusta causa.













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