Cartiere del Garda, tagli per 3 milioni

Maratona azienda-sindacati per individuare le voci della busta paga dove intervenire ed evitare la riduzione di organico


di Matteo Cassol


RIVA. Sono durate svariate ore, concludendosi ieri in serata, le trattative tra i sindacati e la dirigenza delle Cartiere del Garda, impegnati da fronti opposti ma con interessi alla fine convergenti (se non comuni) ad affrontare localmente la crisi a livello europeo del settore cartaio, con relativi problemi di sovrapproduzione e magazzini pieni: dai primi “exit poll” sembra che sia stato scongiurato il rischio dello stop del ciclo continuo, col mantenimento del modulo 4-2 (quattro giorni di lavoro e due di riposo) che non dovrebbe correre il rischio di essere messo in discussione.

Le riunioni delle Rsu sono cominciate già in mattinata, mentre il faccia a faccia tra i rappresentanti delle tre principali sigle sindacali (Ivano Zampolli per Uilcom-Uil, Lucio Omezzolli per Slc-Cgil e Claudio Battistoni per Fistel-Cisl) e la dirigenza è durato dalle 16 alle 21: un faccia a faccia peraltro non conclusivo (la discussione dei dettagli è stata posticipata alla settimana prossima, probabilmente a sabato 23) in cui per prima cosa si è badato a sgombrare il campo dall’alternativa più funesta dal punto di vista del mantenimento dei numeri occupazionali, quella del blocco della produzione continuativa, che avrebbe portato con sé almeno un centinaio di “esuberi”. A quanto se ne può sapere, la possibilità sarebbe stata accantonata a patto di discutere un accordo sulla riduzione del costo del lavoro.

L’azienda, nelle persone di Lo Presti, Bombardelli e dell’ad Minguzzi, avrebbe domandato un taglio di 2,5-3 milioni di euro annui (suddivisi, non è ancora stato chiarito in quale maniera, tra i poco più di 500 dipendenti) per quel che riguarda gli oneri di impiego: nel pensare alla cifra pro-capite, di primo acchito decisamente elevata (sarebbe almeno sui cinquemila euro a testa di media) c’è da considerare però che i costi a carico del datore di lavoro (compresi di contribuzione e altro) sono superiori sia al netto che al lordo di quello che poi va effettivamente in busta paga, quindi l’impatto – per quanto sicuramente pesante e avvertibile – non sarebbe altrettanto traumatico, anche se a spanne si potrebbe immaginare sempre uno scotto di qualche migliaio di euro all’anno. Un sacrificio che a detta dei sindacati, visto il contesto a dir poco difficile, potrebbe essere sostenibile, pur andando ad aggiungersi a quelli già richiesti: dalla sostanziale abolizione degli straordinari, al già effettuato taglio (del dieci per cento) al premio di risultato di produttività, dal rincaro del prezzo della mensa (prima l’azienda “passava” il 70 per cento, ora il 60) all’adozione del salario d’ingresso per 18 mesi per i neoassunti, per un totale di 500.000 euro all’anno di risparmio per l’azienda, oltre a una serie di fermate con ferie forzate perlomeno di qui a giugno.

A quanto risulta, nella ricerca di un meccanismo che potesse salvaguardare la situazione occupazionale (a questo è stata dedicata in massima parte la giornata di ieri), non si è ancora entrati nel merito delle sfumature tecnico-economiche, ma le aree su cui limare sarebbero state identificate nella quattordicesima e nei premi di produzione, quindi nello stipendio integrativo e non sullo stipendio base, con parti di contrattazione di secondo livello e non di quella collettiva.

Prima di avere un’idea precisa di quello a cui ciascun dipendente dovrà rinunciare (e, per quel che riguarda i sindacati, prima di poter presentare la proposta ai lavoratori) serviranno perciò altre tappe intermedie.

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