«Carnevale in crisi? Si infierisce sulla festa più popolare»
Kezich, direttore del Museo degli Usi e costumi, spiega: «Troppe regole su cibo e carri, tolgono lo spirito autentico»
TRENTO. Giovanni Kezich, direttore del Museo degli Usi e costumi della gente Trentina di San Michele, è considerato un’autorità in tema di Carnevale. Non a caso, giovedì grasso inaugurerà una nuova sezione del Museo di San Michele: “Carnival King of Europe” è uno dei temi che sotto la sua direzione è stato approfondito, analizzando quali sono le manifestazioni tradizionali nelle nostre valli, quali le differenze e somiglianze con altri Pesi europei, quali i personaggi caratteristici. E nel numero scorso della “Lettura”, l’inserto del Corriere della Sera, due pagine sul Carnevale portano la sua firma. A Kezich chiediamo di dire la sua sulle restrizioni per la preparazione di cibo in piazza e sulle sfilate dei carri, che mettono a rischio molte manifestazioni carnacialesche (Ravina, Sopramonte, Arco hanno rinunciato alla sgnocolada, Lavis ai carri).
Direttore, il Carnevale rischia di scomparire con le limitazioni burocratiche e i problemi della sicurezza?
Non direi, è una festa che dura da 2000 anni e nessuno è riuscito ancora a metterla fuori gioco. Il Carnevale è qualcosa di molto strano, perché non si sa cosa sia e cosa veramente si celebri. Ed a questo proposito si raccontano alcune storielle per spiegarne le origini, che variano di luogo in luogo.
Ce le ricorda?
Si pensa che possa essere una ribellione allo ius primae noctis, o risalga ad una grande regalia di farina in un momento di carestia, o possa essere nato in corrispondenza della cacciata dei turchi. Nessuna di queste è vera ed anche per questo il Carnevale ha un suo fascino ineffabile e strano.
Quindi, il rischio di affossare le feste popolari per troppi vincoli burocratici, sarebbe grave?
Credo che ci sia un inutile incrudelimento delle normative nei confronti di chi organizza i carri, le sgnocolade e i cibi tipici. Bisognerebbe che sull’organizzazione di queste feste si chiudesse un occhio, perché queste manifestazioni sono l’anima della cultura popolare. Il Carnevale nella tradizione popolare trova il suo luogo eletto, il suo momento più alto sia per quanto riguarda il ballo, la musica, il cibo, sia per il concetto consustanziale della cultura popolare che è l’effimero ripristino dell’idea di uguaglianza. Nel Carnevale siamo tutti uguali: i ricchi e i poveri, i borghesi e i contadini. Questo è il suo vero significato: è la festa dell’uguaglianza, rappresenta un mondo fantastico, che non esiste.
Secondo lei, può esserci anche l’aspetto che il Carnevale non appassioni più come una volta? Si dice che sia la festa della trasgressione, ma ormai la trasgressione è all’ordine del giorno.
Non sono d’accordo, perché la trasgressione, nelle feste del Carnevale, quella sessuale e quella alimentare, è solo allusa. Piuttosto bisogna fare una distinzione: c’è il Carnevale sul modello viareggino che nasce nel 1873 e che ha i carri allegorici come sua espressione principale, al quale si rifanno la maggior parte delle feste. Quest’ultimi devono inventarsi ogni anno un carro e mettono sotto pressione la comunità che li organizza. Ma ci sono anche le mascherate rituali, quelle basate su personaggi fissi come i Matoci della Valfloriana, i Lachè di Romeno e il Bufon della Val di Fassa. Ma se interviene l’aspetto dell’obbligo di ripetere questi riti, può anche scemare l’interesse.
Non c’è il rischio che il Carnevale venga soppiantato da feste importate come Halloween?
Ma l’origine del nostro Carnevale è comune a quella della festa che precedeva la festa di tutti i santi: era l’annuncio del ritorno dei morti, maschere che li rappresentano, ma che sono un elemento positivo, perché sono un augurio di eternità e fertilità. Le mode vanno e vengono, ma l’origine è la stessa.
Quindi, lei è ottimista sulla sopravvivenza del Carnevale?
Sì, l’importante è che non si infierisca sui tanti volontari che lavorano a queste feste. Però possono esserci degli alti e bassi: ricordo che sfilate e carri allegorici sono un fenomeno che è rinato negli anni Ottanta, perché nel dopoguerra e fino agli anni Settanta, nessuno se ne occupava. Poi c’è stata la riscoperta delle culture locali e delle piccole patrie. Sono fenomeni peristaltici, ma il Carnevale resisterà alle mode.
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