Alcolici, su cento che li bevono in quindici diventano dipendenti
Il dottor Pancheri: «I danni maggiori vengono causati dagli eccessi dei consumatori moderati» In aumento donne e giovani: «Ma sono gli adulti e le lobby ad avere le maggiori responsabilità»
TRENTO. Su 100 persone che iniziano a bere alcolici, 15 finiscono per maturare una dipendenza. Una percentuale «molto alta» - avverte il responsabile del servizio alcologico dell’Azienda sanitaria Roberto Pancheri - «anche se per fortuna l'alcol impiega anni per creare assuefazione». C’è però un altro dato che fa riflettere: «I problemi alcolcorrelati causati dai cosiddetti bevitori moderati sono maggiormente impattanti come costi e quantità sulla collettività che non quelli causati dagli alcolisti». Lo specialista fa un esempio che può sembrare crudo, ma che è certamente concreto: «Prendiamo un ragazzo di 25 anni che quella sera beve 3 birre di più e si schianta in macchina con tre amici a bordo: uno muore, uno finisce in sedia a rotelle, l'altro fa 80 giorni di ospedale e l'altro ancora 30. E non è un modo di vederla tragica perché spesso muoiono tutti e quattro». Che si tratti di un’emergenza sociale non vi è dubbio. Ma come va affrontata? «Se noi dobbiamo aprire una riflessione sul bere, non possiamo limitarci a parlare di quella ristretta fascia di persone che sono gli alcolisti, ma dobbiamo occuparci del bere di tutti». Non solo: «L'Oms dice un'altra cosa importante: il numero di problemi alcolcorrelati in una determinata area è direttamente proporzionale al consumo medio pro capite di alcol in quella stessa comunità. Altro esempio: se a Trento si beve 100, io ho un'attesa di 100 morti di cirrosi, di 100 incidenti stradali, 100 infortuni sul lavoro e così via... Se voglio portare il numero di vittime da 100 a 50, l'unica cosa da fare è dimezzare il consumo medio. Il concetto principale è che la prevenzione deve passare attraverso la riduzione dei consumi».
A rendere quest’opera più ardua subentrano alcune variabili territoriali: «E' chiaro che in Trentino abbiamo una situazione culturale e legata alle tradizioni che non gioca a favore di una riduzione dei consumi e d'altro canto ci sono delle lobby, e non lo dico in senso dispregiativo, i cui interessi non condividono questa visione. Basta vedere il blog di Trentino Wine dopo il trafiletto in cui dicevo che i medici non devono mai consigliare come terapia l'alcol per le coronarie o l'anemia, perché l'Oms spiega che ciò è controindicato. Si chiede addirittura la mia destituzione. Ma ciò vuole dire che si è colpito nel segno...».
Alcuni dati sul tipo di consumo: «I ragazzi bevono prevalentemente birra, i “più anziani” vino e le ragazze cocktail o birra». Tra i bevitori patologici, «le donne sono molto più frequenti di una volta, ma restano una su cinque». La classe di età dove c'è una maggiore concentrazione di casi è la 30-40, ma i giovani dai 20 ai 30 sono in aumento. La responsabilità principale, tuttavia, resta degli adulti: «Non sono i giovani che inventano gli happy hour per vendere alte quantità di alcol, né gli alcopop, le bibite dolci contenenti alcol al 5%. C'è un mondo economico che dietro a questo fenomeno fa profitti».
Molti produttori oggi consigliano di bere poco ma di qualità. Pancheri non condivide questa linea: «Noi seguiamo solo lo slogan dell'Oms: “alcol meno è meglio”. Lo diffonderemo il più possibile in aprile, mese dedicato alla prevenzione. Il concetto base è questo: se non bevi nulla non rischi nulla, se bevi tanto, rischi tanto. É sciocco dare degli ordini sui comportamenti altrui, perché questa strategia non ha mai pagato. Noi diciamo solo: scegliete il livello di rischio che volete correre».
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