Addio a Leopoldina, la donna che aiutò gli ebrei a fuggire

Si è spenta venerdì scorso l’anziana di Vervò che cercò di salvare alcune famiglie ricercate dai nazisti


di Ettore Frangipane


BOLZANO. E’ mancata venerdì mattina a Bolzano a 97 anni, nella sua casa di via Milano 76, e sarà inumata domani a Vervò, Leopoldina Micheletti in Zucali, una delle ultime testimoni delle razzie perpetrate, anche nella nostra regione, ai danni degli ebrei.

La sua vicenda è stata raccontata da Federico Steinhaus, già capo della Comunità ebraica di Merano, che ne apprese i particolari dalla testimonianza della stessa Leopoldina, trasferendola poi in un suo libro: “Ebrei-Juden” (gli ebrei dell’Alto Adige negli anni Trenta-Quaranta). Nel 1943 Leopoldina Micheletti, che allora aveva 26 anni, si trovava a Vervò, in val di Non, suo paese d’origine con la sua famiglia. Un giorno d’agosto un loro cugino, Leopoldo Zadra, venne lassù con sua moglie Caterina Rapaport e chiese alla famiglia di ospitarla: non disse che era ebrea. Poi lo zio “Poldi” – così lo chiamavano – se ne andò affidando la donna, che a Merano vendeva tessili, ai suoi parenti. Negli stessi giorni in una casa vicina aveva trovato alloggio un’intera famiglia di ebrei, i Bermann, padre madre e due figli. Non si dichiararono tali ma Leopoldina ebbe modo di vedere attraverso una finestra Bermann-padre che era solito pregare tra candele accese con uno zuccotto in testa. Allora capì, e divenne particolarmente amica della madre, Teresa.

I Micheletti non li tradirono e continuarono ad ospitare anche la Rapaport, nel frattempo rivelatasi, finché un giorno, a metà settembre, non giunsero “due uomini in borghese, uno con un mitra, l’altro impugnava una pistola; uno dei due era dell’alta Val di Non, della zona di Passo Palade. Mi chiesero chi ero e glielo dissi. Caterina in quel momento si affacciò alla porta, e mi chiesero il suo nome. Risposi che era una villeggiante, che non sapevo come si chiamasse (…). Mi minacciarono”.

Caterina tentò la fuga uscendo dal retro della casa: i due spararono alcuni colpi, la raggiunsero, Caterina tornò a divincolarsi e a fuggire ma non ci fu più nulla da fare. La trascinarono con loro, volgendo poi la loro attenzione alla casa in cui si trovavano i Bermann, nella quale raggiunsero Teresa. “Teresa era calmissima – sono parole di Leopoldina – mentre Caterina gridava e s’agitava”. Furono legate l’una all’altra e condotte a valle. “Ho saputo poi – continua la testimonianza di Leopoldina – che le avevano trascinate per le strade di Merano, portandole all’edificio dove stavano raccogliendo gli ebrei da deportare”.

Questa era la casa del Fascio, nel cui scantinato si ritrovarono più persone, in un’aria soffocante poiché i nazisti avevano chiuso ogni apertura con l’esterno, onde non si sentissero le invocazioni dei prigionieri (tra i quali una bimba di 6 anni, Elena De Salvo, tubercolotica e priva di un polmone, la cui madre urlava per ottenere un po’ d’aria per la piccola). Ci furono casi atroci, come quello di Geltrude Benjamin, che quando vide arrivare a casa sua i nazisti, per non cadere viva nelle loro mani si avvelenò con la sorella, ma sopravvisse. Fu allora abbandonata senza soccorsi su un bigliardo che si trovava nello scantinato. “Che crepi pure”, disse uno degli sgherri (da “Ebrei-Juden”, di F. Steinhaus). Tornando a Vervò, sfuggirono alla cattura gli altri Bermann, il padre e i due figli, che Leopoldina accompagnò dopo dieci chilometri di camminata notturna fino alla Trento-Malè, per poi proseguire fino a Ferrara. “L’ho fatto, ma avevo tanta paura”. Gli ebrei rastrellati a Merano in quell’occasione furono 22, e furono i primi ad essere avviati in Germania dall’Italia: era il 16 settembre del 1943. In totale gli ebrei deportati dalla penisola furono 7.800, solo 837 sopravvissero. Su 733 bambini, ne ritornarono 121. Non si seppe più niente, tra l’altro, della piccola (neanche 4 anni) Olimpia Carpi di Bolzano, abitante con la famiglia in via Leonardo da Vinci 20, tradita dalla delazione di un negoziante della stessa strada che fu processato a guerra conclusa, condannato ma poi amnistiato. Quasi tutti gli ebrei italiani sono stati deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.













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