Addio a Eugenio Pisoni il «nonno» di Gardolo
Aveva 101 anni, alle spalle una vita avventurosa: da orfano si riscattò creando una piccola impresa edile. Viveva in casa di riposo ed era habitué dell’Ana
TRENTO. Eugenio Pisoni potrà finalmente riconsegnare a suo figlio quel cappello d’alpino che ha orgogliosamente portato per troppi anni. Finalmente perché un padre non dovrebbe mai sopravvivere ai propri figli, soprattutto quando rappresentano la cosa più bella avuta in una vita difficile e avventurosa. L’avevamo incontrato alla casa di riposo di Gardolo a maggio alla vigilia dell’Adunata degli alpini per raccogliere il suo sogno. Quello di potervi partecipare, nonostante che Eugenio fosse stato un fante, in memoria del figlio e l’intervista l’avevamo realizzata col cappello orgogliosamente calzato. Aveva detto: «Alla prossima adunata non ci sarò e poter sfilare a questa è come se lo facesse mio figlio: da sempre ho gli alpini nel cuore». Un sogno che è rimasto tale per via delle ferree regole dell’adunata che è riservata sono agli alpini, ma Eugenio grazie all’impegno della nipote Tiziana era riuscito lo stesso a respirare la particolare atmosfera di quei giorni: un giro per le vie cittadine col cappello d’alpino in testa ed il tricolore e Eugenio a 101 anni si è sentito lo stesso uno di loro e siamo convinti che a spingere quella carrozzina non ci sia stata solo Tiziana, ma anche suo figlio.
Eugenio era il “nonno di Gardolo”, il più anziano del rione, era un amico della locale sezione Ana dove trascorreva delle ore felici. Poi la vita, una vita che a Eugenio non aveva regalato nulla, anzi aveva perfino tolto tutto quanto era possibile togliere. Eugenio non ha mai avuto la gioia di conoscere suo padre e quando nacque il primo marzo del 1917, venne a mancare anche la mamma. Il contesto nel quale il piccolo Eugenio cresceva a Villa Madruzzo era poverissimo, tanto che il parroco don Felice fece un appello perché una delle famiglie ricche della zona, lo prendesse in affidamento. A dargli una mano fu il passa parola e la sua nuova famiglia fu a Fornace fino a 14 anni. Quando torna a Castel Madruzzo non trova più nessun parente e non può che vivere di espedienti, il più redditizio era quello di vendere le pelli di coniglio. Fu proprio per cercarne che arrivò a piedi fino a Padergnone, gli fu indicato una casa, entrò, gli diedero qualcosa da mangiare e quando disse che era figlio della Giuditta, fu solo commozione: casualmente era entrato nella casa di una sorella della mamma. Quello di Eugenio fu un racconto lucido, preciso, ricco di particolari che ci accompagnò negli anni della guerra, fino al matrimonio contrastato in tutti i modi dalla famiglia della futura sposa, alla costruzione della casa di Gardolo, fino alla morte della moglie e del figlio. La nipote Tiziana non lo abbandonava nemmeno con lo sguardo, lo accompagnava con orgoglio passo dopo passo nel cammino della sua vita che si è conclusa ieri mattina alla casa di riposo di Gardolo. I funerali di Eugenio, “alpino” di cuore e di avventura, sono domani alle 10 alla chiesa di Canova.