l’intervista

Scorza Berlanda: «Gli insegnanti dell'Iti sono stati la nostra fortuna»

In attesa del raduno decennale dei diplomati all’Istituto, in programma a settembre, parlano i protagonisti di un’epoca

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Daniele Peretti


TRENTO. Renato Scorza Berlanda più che “un ragazzo del ‘64” è un ragazzo del ‘68. Nel senso che il diploma lo ha conseguito quattro anni dopo rispetto ai diplomati che il 16 settembre festeggeranno i sessanta anni dal diploma. Ma essendo amico d’infanzia di quasi tutti, è stato “adottato”. Berlanda dopo aver concluso la terza media, ha lavorato per 4 anni, frequentando anche la scuola tecnica. Poi, da privatista, ha dato gli esami necessari per essere ammesso al terzo anno all' Iti.

Un ricordo della scuola?

“Finì per diventare il fratello maggiore dei miei compagni di classe ed era divertente. La nostra fortuna sono stati gli insegnanti: non solo professori, ma anche professionisti che ci portarono i problemi del mondo del lavoro in aula. Ricordo con nostalgia Annamaria Moresco, l’insegnante di matematica, il catechista don Giovanni che ha celebrato il mio matrimonio e Gino Bampi perito di laboratorio. Per i professori avevamo tutti una grandissima ammirazione”.

Dopo il diploma?

“Una enorme differenza rispetto ad oggi, era che i diplomati avevano certezza di un posto di lavoro con un contratto a tempo indeterminato. Si poteva programmare il futuro, non come oggi. Lavorai un anno come progettista presso lo studio Rino Carli e poi entrai all’Ignis, prima in produzione facendo poi carriera fino al ruolo di direttore. Tutto finì quando mi proposero il trasferimento in Francia: sarebbe stato il coronamento della mia carriera, ma mia moglie si oppose ed allora scelsi la famiglia: una scelta che ancora mi fa star male”.

Si ritrovò disoccupato...

“Era il 1985, il periodo nel quale L’Istituto Trentino di Cultura con la regia di Bruno Kessler diventava Irst, oggi FBK. Responsabile del progetto era Luigi Stringa con quale ebbi un colloquio che andò bene e fui assunto come coordinatore dei ricercatori. Il mio compito era quello di recepirne le necessità e risolverle. Fui nominato anche segretario del Consiglio Scientifico, ruoli che ricoprì fino al 2007 anno del mio pensionamento”.

Ha vissuto gli anni caldi alla Ignis da dirigente.

“Semplicemente essendo un dirigente ero considerato “un servo del padrone” e quando c’erano gli scioperi era difficile sia entrare che uscire: picchetti e scioperi di quegli anni non erano di certo morbidi come gli attuali. La tensione era molto alta, consideriamo che proprio a Trento in quegli anni nascevano le Brigate Rosse. Ma sia con gli operai che con i sindacalisti i rapporti erano buoni”.

Il 30 luglio?

“Lo vissi dall’interno della fabbrica, ma fui io ad accompagnare uno dei ragazzi accoltellati all’ospedale con la mia macchina. Uscimmo quando sentimmo le urla provenire dall’esterno e la prima cosa che mi venne in mente fu quella di prendere la mia macchina e portare via l’operaio: c’era una situazione che non si capiva come potesse finire”.

Concludiamo con un ricordo del mondo del lavoro?

“Senz’altro il fascino delle radioline a transistor che sono state un simbolo per la mia generazione: ci accompagnavano ovunque, un po' come adesso il cellulare. Lavoravo all'Austria-Ital di Lavis dei fratelli Benvenuto che importavano dalla Germania radio e televisori da assemblare. Frequentai un corso per tecnici della televisione che mi permise di vivere anche dall’interno due simboli dell’epoca: televisori e radioline a pile”.













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