l’intervista

Renato Tarter: «Noi delle Iti eravamo i “grezzi” ma abbiamo contribuito allo sviluppo del Trentino»

In attesa del raduno decennale dei diplomati all’Istituto, in programma a settembre, parlano i protagonisti di un’epoca

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TRENTO. “Nel mondo delle scuole trentine di allora noi del Buonarroti eravamo soprannominati “i grezzi”, ma quando arrivavano i campionati studenteschi battevano quasi tutti perché quelli dei licei erano troppo “signorini”. Ma noi avevamo anche un’arma segreta: il professor Covi insegnante di educazione fisica che ci preparava al meglio”.

Questo è uno dei ricordi di Renato Tarter, uno dei “ragazzi del ‘64” che il prossimo 16 settembre andranno a festeggiare i sessant’anni del diploma. Tarter era figlio di contadini che abitavano a Dardine frazione di Taio e se voleva studiare ha dovuto fare il pendolare.

“Praticamente già a 15 anni ho imparato ad essere autonomo e mi sono autogestito”.

Perché scelse l’indirizzo meccanico?

Per passione e poi perché i miei genitori mi hanno sempre lasciato libero di scegliere. I primi due anni li passai nel Convitto dei Bertoniani in via San Bernardino; poi per mio padre non era un ambiente adatto e mi trovò una camera in affitto. Si mangiava dove capitava, ma stavo meglio.

Particolare l’esperienza del militare.

Comandante di distaccamento con compiti di ordine pubblico in Alto Adige all’epoca degli attentati. Scelsi di entrare a far parte della Tridentina e del resto cos’altro avrei potuto scegliere?

È stato un Perito Meccanico che non hai mai fatto la professione.

Mi ricordo ancora lo stipendio di 75mila lire che guadagnavo lavorando in un’impresa che costruiva impianti di irrigazione. Volevo guadagnare di più, iniziai così a fare il venditore di attrezzatura agricola. Cominciai dal basso per diventare un “quadro” della Sigma che produceva macchine agricole. Quando tutto sembrava andare per il meglio il fallimento e così nel 1997 con quattro colleghi decidemmo di rilevarla, fondando la "Sitra Trattori”.

Azienda tutt’ora presente sul mercato.

Sì, siamo a Spini e siamo diventati un’azienda famigliare. Negli anni ho liquidato i miei soci e la portiamo avanti insieme ai miei figli.

Torniamo alla scuola, tutti ricordate volentieri i vostri professori.

Grandi persone che ci hanno insegnato davvero tanto. Oltre al professor Covi, ricordo con piacere l'ingegnere Sincovic che insegnava Disegno Meccanico col quale ho collaborato in seguito per la progettazione di macchine agricole. Poi il preside Viola: un burbero buono che prima di parlare usava schiarirsi la voce a lungo.

L’odierno ITT, lo consiglierebbe ai suoi nipoti?

Sono cambiati i tempi, ma lo farei. Allora era la scuola del futuro, dove trovavano spazio le novità al contrario dei licei dove si insegnavano cose acquisite. Pensi che mia figlia, Liana Tarter, l’ha frequentata diventando una delle prime donne Perito Chimico, oggi lavora al Laboratorio del Santa Chiara.

Un paragone tra la scuola del ‘64 e quella di oggi?

Del tutto diverse le motivazioni. Oggi si frequenta la scuola quasi come se fosse un obbligo. Per noi era un’occasione di riscatto che affrontavamo con la voglia di emergere. Per tutti il diploma voleva dire lavoro e quindi il primo passo verso l’autonomia e da li cominciavano una serie di passaggi che oggi nemmeno ci sono più. Un’ultima cosa…

Prego.

Saremmo stati anche “i grezzi”, la nostra sarà stata la scuola dei figli di operai e contadini, ma molti di noi – oserei dire tutti – hanno dato il loro contributo allo sviluppo del Trentino.













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