Veronica e il viaggio “a casa loro”
Taio: la giovane medico Chini racconta rabbia, frustrazione e sogni nella “Shalom Home” in Kenya
TAIO. Si sente spesso pronunciare la frase “Aiutiamoli a casa loro”. Ma che cosa vuol dire davvero “aiutarli a casa loro”? Che cosa si nasconde dietro queste quattro parole? Quali sono i bisogni che queste persone cercano disperatamente di soddisfare, spesso rischiando la vita in lunghi viaggi senza sapere quale sarà la loro meta, il loro destino? Veronica Chini, giovane medico di Taio, ci è andata a “casa loro”. Ha visto coi propri occhi 40 bambini kenioti chiamare “scuola” una grande stanza buia e impolverata, stringendo tra le mani un foglio di carta logoro e accartocciato e una matita. «Vogliono imparare a leggere e scrivere, cercano di assimilare qualche parola di swahili e di inglese», racconta Veronica. Sono gli stessi bambini che durante la pausa, all’ora di pranzo, non hanno potuto consumare un pasto completo. Eccoli, due dei mille bisogni che “loro” vanno cercando: istruzione e cibo.
Veronica ha vissuto sulla sua pelle la rabbia e la frustrazione nel vedere gli uomini adulti riversi sotto qualche albero ubriachi e le donne rinchiuse nelle loro umili dimore ad aspettare di poter vender loro il proprio corpo per 1 euro appena. Queste due dimensioni però hanno qualcosa che cozza tra loro: da una parte bambini e ragazzi che cercano di studiare e dall’altra i loro genitori, completamente assenti e non curanti dei bisogni dei figli. Manca un tassello fondamentale. «Questo tassello si chiama Padre Francis Gaciata - spiega Veronica Chini - un prete nato e vissuto in Kenya, con una breve ma intensa esperienza di studio in Italia, che si è laureato alla Pontificia Università S. Croce di Roma e che ha deciso di tornare a casa sua. Chi meglio di lui può sapere come “aiutarli a casa loro”?». È merito suo se quei bambini hanno quella piccola e squallida scuola.
«Questo è lo scenario - continua Veronica - che si trovarono di fronte un giorno, ormai quasi dieci anni fa, alcuni “pelle bianca” che passavano di lì per caso, o per il volere della Provvidenza, come ama dire Padre Francis. Oltre che di istruzione e di cibo, quei bambini avevano bisogno di attenzione, affetto, calore familiare». Nacque quindi l’idea di una casa dove potessero soddisfare tutti questi bisogni. E così, mattone dopo mattone, è stata costruita Shalom Home. Due dormitori, un refettorio e una scuola, niente di più per quei primi 40 bambini che nel 2011 hanno varcato il cancello della “Casa della Pace”. Ad attenderli all’interno di quelle quattro mura c’erano dei letti, dei tavoli e delle panche su cui ogni giorno venivano serviti addirittura tre pasti, sedie e banchi, libri, quaderni e matite. «Ma soprattutto assistenti, cuochi e insegnanti pronti a donare il proprio tempo - dice ancora Veronica - a dar attenzioni e quell’affetto per loro sconosciuto. E Padre Francis, pronto a stringerli tutti in un grande abbraccio, a sostenerli psicologicamente, a trasferire loro il senso civico, il valore della fede ma anche dello Stato, il Kenya, insegnando loro i diritti e i doveri sanciti dalla Costituzione».
Oggi, a sette anni di distanza, i bambini e i ragazzi di quell’orfanotrofio sono più di 400. Trascorrono le loro giornate tra studio, faccende domestiche e qualche ora di svago, giochi e chiacchiere come tutti i bambini e ragazzi del mondo. E in tutto ciò sono a casa loro, perché Shalom Home è proprio casa, e tutta quella gente che calpesta quell’ettaro di terreno è la loro nuova famiglia. Ecco cosa vuol dire “aiutarli a casa loro”. Grazie a Padre Francis e a circa 200 famiglie che sostengono MelaMango i bambini di Shalom Home possono credere in un futuro migliore. Un futuro nel quale potranno diventare ingegneri, insegnanti, medici, cuochi, parrucchieri, falegnami e muratori. Ma soprattutto madri e padri migliori di quelli che hanno avuto loro.
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