L’INTERVISTA

Luigi Macone: «Non avevo voglia di studiare. Alle Iti mi si aprì un mondo nuovo»

Il raduno decennale dei diplomati all’Istituto, che si tiene oggi, lunedì 16 settembre, richiama i protagonisti di un’epoca (nella foto, da sinistra Macone, Bonfante e Ziglio)

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Daniele Peretti


SASSARI. Le scuole superiori per Luigi Macone sono state tutte in salita, fino a quando non ha scoperto le Iti: “Non ne avevo proprio voglia. Avevo tentato gli studi commerciali, ma fui bocciato. Mia madre non mollava e mi fece fare l’esame d’ammissione, un tema di italiano, che mi permise di iscrivermi alle Iti. Mi misero nella sezione B che allora si diceva non essere la migliore, ma per me si aprì lo stesso un mondo nuovo”.

Molti hanno visto la scuola come una possibilità di riscatto.

“Fu così anche nel mio caso. La mia era una famiglia molto povera, ero figlio di un barbiere pugliese emigrato a Milano, da dove scappò dopo l’8 settembre arrivando a Novaledo, sposò mia mamma casalinga. Mio padre non andava d’accorso con i suoceri e così trovammo casa a Caldonazzo”.

Dura la vita da pendolare?

“Ci si svegliava all’alba per prendere il treno che passava prestissimo e si raggiungeva la stazione a piedi. Peggio andava al mio compagno di banco, Sandro Ziglio, che abitava a Castelnuovo e partiva da casa che era ancora notte. In stazione prendevamo il treno per Trento, mentre mia sorella saliva su quello per Bassano per andare alla scuola media a Borgo Valsugana. Erano tempi nei quali si faceva di tutto per ottimizzare le spese e i nostri genitori decisero che Sandro si sarebbe trasferito a casa mia e mia sorella a casa sua”.

A scuola invece?

“I primi due anni feci molta fatica specialmente in matematica. Per mia fortuna in terza arrivò un nuovo professore, Tindaro Maria Imbesi siciliano che ci disse che la sua missione sarebbe stata quella di farci capire la matematica e così fu”.

Un ricordo della scuola?

“L’eclissi solare che andammo a vedere sul Bondone, non mi ricordo se il viaggio fu organizzato dalla scuola o da noi studenti, ma fu veramente molto bello”.

A seguire l’Università...

“A Padova facoltà di Ingegneria Civile dove conobbi Reinhold Messner che mi insegnò a scalare e mi trasmise la passione per la montagna che ancora non ho perso”.

Partiamo dalla fine, oggi abita a Sassari.

“Lo potrei definire il punto d’approdo della mia vita dopo aver trascorso anni in giro per l’Italia. La mia specializzazione era nel settore trasporti, quindi grandi opere. Il primo cantiere fu a Tezze che raggiungevo in moto; poi andai a Maiano dove si costruì la nuova sede della Snaidero. Aumentando l’esperienza, mi arrivavano anche offerte di lavoro al rialzo. Andai a Foggia a costruire la rete fognaria, poi a Terracina: erano ponti, viadotti, grandi edifici”.

Lo sbarco in Sardegna?

“Era il 1975, risposi ad un annuncio apparso sul Corriere della Sera e fui assunto. Presi tutte le mie cose che stavano su un Fiat 616 ed arrivai sull’isola con primo incarico: la strada Sassari – Tempio. Poi dieci caserme dei Carabinieri da Porto Cervo alla Marmolada, ma anche palestre e sistemazioni idrauliche. Nel 1988, dopo una vita da dipendente e poi dirigente d’impresa, decisi di mettermi in proprio: cantieristica, progettazione, direzione lavori, collaudi e prove di carico. Devo riconoscere che la mia è stata una vita di successo che devo tutta alle Iti.”

Adesso è in pensione?

“Sì e posso dare libero sfogo alle mie due grandi passioni: il mare e la montagna. In Trentino torno spesso per andare in montagna. Nostalgia tanta, ma la Sardegna non la lascio”.













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