Sartori, la vita sui camion della famiglia dei trasporti 

Lavis, l’azienda “Emme Esse” ha festeggiato i venticinque anni di attività Il capostipite Martino è originario di Giovo: il suo primo stipendio era di 500 lire


di Daniele Peretti


LAVIS. Il viaggio nel mondo dei trasporti di Martino Sartori, titolare della ditta “Emme Esse” di Lavis, è iniziato con un debito di ottomila lire rateizzate in 36 mesi, necessario per acquistare un “Tigrotto 55” grigio attrezzato al trasporto delle bombole del gas: «Era il 1969 – ricorda Martino – e allora prendevo 500 lire di stipendio mensile. Ero dipendente della Liquigas, abitavo a Verla in una posizione comoda per portare le bombole di gas, tutte scaricate a mano, in Val di Fiemme e Fassa. Prima lavoravo con la ditta Tacchi che trattava carburante, ma che è fallita dopo l’alluvione del ‘66: troppi i danni e non si è più ripresa».

Martino Sartori compirà 80 anni il primo novembre, ha iniziato a lavorare a 16 anni, poi dieci anni fa ha smesso all’improvviso: «Mi è successo che sono andato a rinnovare il patentino Adr (l’abilitazione al trasporto di materiale infiammabile) e mi hanno bocciato tre volte. O meglio la prima avevo risposto giusto, mettendo però la x a fianco della domanda e non nel quadratino giusto. La seconda ho fatto due errori e pur potendo commetterne tre, mi hanno bocciato e solo alla terza mi hanno detto che non era possibile rinnovare perché avevo compiuto 70 anni: mi sono sentito preso in giro e ho abbandonato l’attività».

Nel frattempo erano entrati in società i figli Michele (nel 1988) e Sergio (1989) che avevano diversificato l’attività chiudendo col trasporto di bombole: «Non ci fidavamo ad avere un solo cliente – spiega Michele – e allora abbiamo cercato di avere più ditte, ma anche trasporti diversificati e non unici». Scelta azzeccata se a luglio scorso la “Emme Esse” ha compiuto i 25 anni di attività - ma considerando quelli del papà sarebbero una cinquantina -, con una festa nel piazzale dell’azienda alla quale hanno partecipato 180 persone, accompagnate dalla musica di un complesso folkloristico tirolese.

Oggi la flotta è composta da otto mezzi che sul muso portano un ferro di cavallo giallo: «Agli inizi dell’attività trasportavamo legna – racconta Michele – che andavamo a prendere a Fortezza. Trovammo un deposito di ferri per muli e ne portammo a casa. A Verla il “Bau della Not” che è il sopranome che in paese aveva Enrico Simoni, papà di Gilberto il ciclista, ne fissò uno sul camion». Interviene Martino: «Solo che lo mise all’insù e “mi dei corni non ne voi”, l’ho capovolto e da allora lo abbiamo messo su tutti i camion».

E in 50 anni in camion sono stati in tutto: «Ne abbiamo cambiati 25», dicono. Ma l’autotrasporto ha un problema: «Manca una scuola professionale. L’anno scorso - dice Michele - ci sono stati solo 5 cqc (la Carta di Qualificazione del Conducente richiesta a chi effettua professionalmente l'autotrasporto di cose) in tutto l’anno. Un autista spende 5mila euro per avere tutte le patenti necessarie, ma non ha una qualificazione professionale».

Martino, quando si è ritirato dall’attività ha dato solo un consiglio ai figli: «Il nostro è un lavoro nel quale bisogna sapersi organizzare. Riuscendoci il cliente è contento, noi ci guadagniamo e riusciamo a pagare i debiti che sono l’unica cosa che non manca mai».

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