Il vignaiolo italiano 2018 è Bepi Fanti di Pressano
Oggi novantenne, è stato fra i pionieri della viticoltura in Trentino, esempio di impegno, sacrificio e passione. Fu il primo a credere nelle qualità del Nosiola
LAVIS. «Questo riconoscimento non è solo per mio padre – dice Alessandro Fanti con una certa emozione –. Va esteso a tutti i vignaioli semplici, quelli che vivono per trasformare il frutto in vino, per il modo in cui interpretano il loro lavoro e la passione che li guida». Il Bepi, Giuseppe Fanti, sarà premiato come “vignaiolo italiano dell’anno” secondo la Federazione italiana vignaioli indipendenti. La notizia è arrivata ieri a Lavis e sulle colline di Pressano.
È il riconoscimento, spiegano i vignaioli locali, per un intero territorio e per tanti contadini che ci vivono: il Bepi, oggi novantenne, è stato fra i pionieri trentini della viticoltura. Quella che è sinonimo di impegno, lavoro e sacrificio innanzitutto. E poi di passione, la qualità che muove ogni cosa e che poi in qualche modo si riflette in ogni bottiglia stappata. «A cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, quando ero un giovane studente di San Michele, Pressano era una piccola oasi in Trentino, con un leader indiscusso: il “Bepi” Fanti – ricorda il vignaiolo Mario Pojer –. Lo vedevamo come un vignaiolo visionario, in quel periodo primo e unico imbottigliatore del magico bianco. Ricordo gli assaggi dalle vasche in cemento, la ritualità dell’avvinamento del bicchiere e le lunghe chiacchierate non solo di vino». Un rituale che in parte si è perso nel tempo. Ma che in realtà rivive in qualche modo quando si visitano le colline di Pressano, con i masi e le piccole aziende locali, dove un po’ di magia sembra sopravvivere. Forse anche per questo il “Bepi” è stato premiato e riceverà il riconoscimento domenica 25 novembre al mercato dei vini di Piacenza. «Lui racchiude in sé il concetto di territorialità – spiega Lorenzo Cesconi, presidente del Consorzio vignaioli del Trentino –. Non è un termine astratto, come spesso si usa. È un concetto che ha a che fare con la terra, con le cose migliori che essa produce e con la capacità di conoscerle, comprenderle e valorizzarle».
Negli anni Settanta, quando il vino era venduto prevalentemente sfuso, Fanti cominciò a imbottigliare la Nosiola di Pressano, credendo – con spirito imprenditoriale – nelle potenzialità di questo vitigno e in quelle del suo territorio. Nel 1987 fondò l’Associazione vignaioli del Trentino. L’azienda Fanti oggi è guidata dal figlio Alessandro: «Io credo che la cosa essenziale sia il legame con il territorio: tutto parte da lì – dice –. Qui sulla collina di Pressano, ognuno di noi ha cercato di essere il promotore e l’artefice della propria zona. Se poi questa voglia di fare si condivide con gli altri, ecco che i vignaioli diventano amici oltre che colleghi, e diventa più facile promuovere un territorio». «Forse è questo l’insegnamento di mio padre – aggiunge Alessandro –. Lui ha operato fino a più di vent’anni fa. Se guardo indietro, ai tempi c’erano aziende che erano tecnicamente più avanti. Ma il clima che c’era, negli anni Ottanta, fra i vignaioli qui a Pressano e nel Trentino era unico. C’era la voglia di interpretare la propria terra e di darle visibilità. E questo spirito è sopravvissuto fino ad oggi. Siamo semplici contadini che vogliono trasformare il frutto in vino, e questo ci fa stare con i piedi per terra, in tutti i sensi. Ma nulla ci impedisce allo stesso tempo di provare passione per ciò che facciamo». «Oggi più che mai – aggiunge Pojer – il Trentino avrebbe bisogno di questo tipo di esempi: il premio che riceve Giuseppe, in questo senso per tutti noi Vignaioli del Trentino deve rappresentare un’occasione di riflessione». Alla riscoperta dei lavori fondanti della viticoltura trentina, che qui sulle colline di Pressano ha mantenuto un significato particolare. «Mio padre ancora non sa nulla di questa notizia – spiega Alessandro –. Ma posso parlare a nome suo: questo è un premio che va esteso a tutto il nostro territorio».