«La leucemia? Ho capito di dover ascoltare i segnali del mio corpo»
«La diagnosi è stata dura: se non ci si cura si può anche morire in due settimane». Ma Astrid, che ha messo al mondo 1.500 bimbi, ha affrontato la malattia con grinta e positività. Di Bella è vicepresidente del Collegio delle Ostetriche della Provincia di Bolzano
Ora. Astrid Di Bella, vicepresidente del Collegio delle Ostetriche della Provincia di Bolzano, è sempre stata abituata a correre. Per far nascere i bambini: 1.500 in 20 anni di carriera, una media di 75 l’anno, una parte dei quali anche a casa. Una donna felice, energica e determinata, con un marito e tre figli (Daniel, Dominik e Marie: 18, 16 e 13 anni). A ottobre ha scoperto di essere malata. E la diagnosi è stata durissima da accettare: leucemia fulminante. «Leucemia promielocitica - racconta Astrid - per essere precisi. Tra le leucemie, è la forma più aggressiva». Causa problemi di coagulazione del sangue ed emorragie molto gravi e può portare i pazienti al decesso nelle prime due settimane».
E, dato che fa riflettere, «stiamo parlando di 150 casi l’anno in Italia e 2 in Alto Adige».
Partiamo dall’inizio: come l’ha scoperto?
«Era il 9 ottobre, lo ricordo bene. Ho avuto un piccolo sanguinamento dal naso e ho notato un ematoma alla coscia. E sapevo di non essere andata a sbattere da nessuna parte».
A cosa ha pensato?
«Spinta anche da una collega sono andata all’ospedale per fare delle analisi delle sangue. Immaginavo si trattasse di qualche problema legato alla coagulazione del sangue. Ma pensavo a qualche scompenso vitaminico o qualcosa di simile. Invece il responso è stato un altro: leucemia fulminante».
È stata ricoverata immediatamente?
«Si, per fortuna ho avuto la possibilità di abbracciare mio marito e i miei tre figli prima di entrare in reparto. Mi ha dato una grande forza. Il reparto di ematologia, per ovvie ragioni, è quasi chiuso e le visite sono rare».
Ha sofferto i primi giorni?
«Ero debole ma soprattutto in trance. Stavo cercando di elaborare e affrontare il tutto al meglio. Hanno sofferto di più i miei familiari che hanno trascorso i primi tre giorni a piangere».
Trascorse le prime due settimane il pericolo di un decesso fulminante è passato. Ma lei come si sentiva?
«Fiacca, ci sono stati momenti in cui riuscivo solo a mangiare e dormire. Tutto il resto mi costava grande fatica. Ma il peggio era alle spalle e le terapie mi hanno aiutato molto. In questi casi è fondamentale agire per tempo e farsi curare. E per fortuna l’ho fatto».
Le terapie continuano anche adesso che è tornata a casa?
«Certo che sì. Non sarei in grado, adesso, di riprendere a lavorare. Ora devo fare una terapia di consolidamento fino a luglio e poi il programma di recupero prevede una terapia di mantenimento per due anni».
Lei ha lavorato in ospedale e poi è diventata una libera professionista. È una delle quattro donne in Alto Adige che assiste le donne nei parti a casa. Le manca tutto questo?
«Adesso le colleghe sul territorio sono tre e sentono un po’ la mia mancanza (ride ndr). I parti a casa sono 40 l’anno, circa l’1 per cento del totale. Ci sono delle linee guida da seguire, ma se non ci sono complicanze è una strada assolutamente sicura. Detto questo, quando tornerò a lavorare, probabilmente nel 2021, lo farò in modo diverso».
Cosa vuol dire, per lei, lavorare in modo diverso?
«In passato ho sempre lavorato a ritmi particolarmente sostenuti. Non c’era nessuno ad impormelo e mi piaceva molto. Ma forse, qualche volta, ho trascurato me stessa e i segnali del mio corpo. In futuro non accadrà più».
La considera una lezione di vita?
«Certo, una lezione importantissima, di cui cercherò sicuramente di fare tesoro».
Lei ha scelto di parlare della sua malattia anche sui social. Ne ha tratto vantaggio?
«Sì, ci sono persone – in condizioni analoghe - che ancora oggi mi chiamano o vogliono incontrarmi. È bello potersi confrontare, parlarne liberamente».
L’Alto Adige ha accusato nel 2019 un calo delle nascite (-200). Secondo lei è solo un caso o una tendenza per il futuro?
«È un trend. Sono numeri che ritroveremo nel medio-lungo periodo. I figli costano e impegnano a fondo. Bisogna volerli davvero. L’onda lunga del resto d’Italia sta arrivando anche qui. Detto questo, fare l’ostetrica è un lavoro bellissimo, un incontro continuo con la vita».