l’intervista

L’Iti e i “ragazzi del ‘64”, de Manincor: «Che carattere quei professori»

In attesa del raduno decennale dei diplomati all’Istituto, in programma a settembre, parlano i protagonisti di un’epoca


Daniele Peretti


TRENTO. Walter de Manincor, titolare dell’omonima azienda di Spini, è uno dei “ragazzi del ‘64”. «Un ricordo della scuola? Il carisma dei professori che insegnavano a piccole classi di circa una ventina di alunni. Il triennio era decisamente selettivo, poi gli ultimi due anni erano più conviviali e c’era anche il tempo e la voglia di fare gruppo».

Perché scelse l’indirizzo elettrotecnico?

All’epoca era la materia del futuro e si viveva il fascino delle tante centrali elettriche del Trentino. Tra molte polemiche legate alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, nasceva l’Enel e i diplomati di allora avevano praticamente un posto assicurato. Visto le difficoltà alle medie volevo evitare in tutti i modi il latino e quindi l’Iti era la scuola ideale anche perché ero amico di Passerotti e mi faceva piacere continuare a studiare con lui.

Un ricordo di quegli anni?

I professori erano tutti professionisti affermati. Molti dei quali avevano il vezzo di non seguire un libro di testo, ma di dettare. Ero compagno di banco di Maurizio Passerotti e dei due ero lo scrivano. Poi al pomeriggio cercavamo di capire e studiare gli appunti.

Qualche nome dei suoi insegnanti?

Gli ingegneri Crespi e Dolzani, che era anche il vicepreside, Celestino Margonari, Cetto noto micologo e poi il preside Viola, anche lui ingegnere, che ricordo burbero e pieno del suo ruolo, incuteva timore e mi ritengo fortunato a non essere mai finito nel suo ufficio.

Che atmosfera si viveva a scuola?

Di massimo rispetto non solo delle persone, ma anche dei ruoli. Una cosa che ha aiutato tutti è stato l’insegnamento del lato pratico delle cose e non solo quello delle regole.

Di quegli anni non potrà mai dimenticare…

La gita scolastica del quinto anno. Al contrario degli altri istituti, da noi se ne faceva una sola finale. Andammo quattro giorni a Monaco, per quasi tutti era la prima volta fuori casa; allora l’Iti era una scuola solo maschile e quindi trovarsi in piena libertà è stata un’esperienza unica. Uscivamo dopo il rientro con i professori e si andava al nightclub.

Lei però non ha seguito l’indirizzo scolastico.

Ho preferito dedicarmi all’attività di famiglia: un’azienda metalmeccanica che allora aveva sede in via Brennero dove oggi c’è l’associazione Artigiani. Mio padre mi mandò a fare praticantato in varie aziende e poi anche in Germania per imparare il tedesco.

Quindi gavetta?

Praticamente obbligatoria, ma era giusto perché così si conosceva l’altro lato del lavoro e negli anni è stato molto utile.













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