I giovani con «l’ansia da clima»
È un disturbo sempre più frequente: ragazzi colti da attacchi di panico o depressione. Che fare? La psicologa: «Agire nel proprio piccolo, focalizzarsi sul presente»
TRENTO. L’eco-ansia è uno stato di preoccupazione verso il mondo che sta mutando a causa dei cambiamenti climatici. Colpisce i giovani che si interessano alla tematica facendo loro perdere le speranze su un futuro migliore. «La fascia d’età interessata maggiormente da questo stato è quella dai 26 ai 30 anni, al limite della generazione Z, quindi non i giovanissimi. - spiega la psicologa Laura Endrighi, esperta in questa patologia - La sintomatologia include attacchi di panico, pensiero pessimistico che prende il sopravvento su tutti gli ambiti della vita, come per esempio la volontà di metter su famiglia, o cambiare lavoro. Tutte le scelte di vita sono rappresentate in una visione fortemente pessimista. Le immagini catastrofiche di questi giorni, inoltre, giustificano questo pensiero».
Ma chi si presenta da lei, che percorso intraprende?
Nei percorsi terapeutici con i giovani che seguo e presentano forme di eco-ansia più o meno gravi si cerca di fare in modo che non ci sia un’impronta di disagio tale che possa portare addirittura alla depressione.
Ci sono anche giovanissimi?
Per gli under 20 l’impatto del cambiamento climatico è dato dalla spettacolarizzazione delle grandi catastrofi che vedono principalmente sui social, raramente presentano forme di eco-ansia tali da dover richiedere una terapia. Quelli che si mostrano più bisognosi sono quelli dai 26 ai 30 anni.
I social, comunque, hanno un impatto importante quindi sui giovanissimi...
Esatto, perché i social per gli under 20 sono utilizzati per informarsi. Loro non fanno più una ricerca su Google, come capita ai trentenni, ma cercano direttamente su Tik Tok e su Instagram e lì gli accadimenti sono amplificati e le informazioni poco approfondite. Su di loro i social hanno un forte impatto perché per esempio i reel di un minuto e mezzo dove vi sono immagini di catastrofi si ripetono continuamente e compaiono in “bacheca” addirittura 20 o anche 30 volte in un giorno solo.
Cosa succede invece con i ragazzi più grandi, sopra ai 25 anni?
Quella, come dicevo, è la fascia che risente maggiormente dell’impatto di tutte le informazioni sul cambiamento climatico, perché nel loro caso fanno ricerche più approfondite e capiscono che il cambiamento in atto è comunque definitivo e grave. Chi ne risente di più generalmente presenta un background di tipo scientifico e sono giovani quindi che riescono a capire fino in fondo le cause del cambiamento climatico, analizzandole e sviscerandole in maniera analitica.
Si tratta quindi di ragazzi che hanno alle spalle una laurea?
Per non generalizzare, possiamo dire che sono sicuramente persone formate, ma la situazione non è così da oggi.
In che senso?
La tematica dell’eco-ansia esiste da ormai 10-15 anni, ma si è acutizzata in questo ultimo periodo e quindi c’è un numero sempre maggiore di persone ansiose. Chi subisce un maggior impatto sono da sempre gli individui che sono più informati, esposti o addirittura sovraesposti in maniera approfondita al tema. Si tratta di “esperti”, che sanno anche che in futuro i fenomeni metereologici gravi non miglioreranno, ma anzi continueranno a peggiorare inesorabilmente.
In una situazione del genere, ci può essere una soluzione? In caso positivo, quale può essere?
È necessario per chi soffre di eco-ansia focalizzarsi sul presente, con tecniche di mindfulness. Bisogna inoltre evitare il pensiero rimuginante, ovvero pensare che le cose andranno sempre male, ma è sano anche coltivare un certo tipo di attivismo, che non dev’essere per forza in prima linea come Greta Thunberg. Può essere anche solo il prendersi cura del proprio comune, andare in montagna o acquistare vestiti di seconda mano. Agire, quindi nel proprio piccolo, stare nel qui ed ora. Il contatto con la natura è fondamentale ed è quello che forse, in futuro, mancherà ai bambini di oggi, che crescendo non sapranno come prendersene cura e apprezzarla.