La storia

Giorgio Vicentini, una vita in Mondadori

Il racconto di Giorgio, da Pomarolo a Verona, passando per Rovereto e Trento: «Dall’Iti a viaggiare in Giappone e negli Stati Uniti»



VERONA. Da Pomarolo in bicicletta alla stazione di Rovereto, da qui in treno a Trento e poi a piedi fino all’Iti di corso Buonarroti; aggiungiamo il pasto alla mensa dei ferrovieri che si trovava sempre sulla stessa

via ed ecco in sintesi, la vita da pendolare di Giorgio Vicentini. “Aggiungiamoci il viaggio a Verona dove

poi sono andato ad abitare e la storia del pendolare è completa”.

Perché l’Iti? “La scelta della scuola la fecero i miei genitori, io scelsi l’indirizzo di Perito Elettrotecnico che di fatto non ho mai fatto, ma succede”. Diploma inutilizzato quindi. “Si perché ho fatto un percorso lavorativo del tutto diverso per il quale ho dovuto dimenticare quello che avevo studiato per imparare altro”. Racconti: “Il Trentino di quegli anni non era economicamente florido ed io non potevo permettermi di sbagliare. Sentì parlare di un’azienda affidabile ed in grande espansione e presentai la domanda d’assunzione: era la Mondadori a Verona. Mi assunsero era il 1968”. Con quali mansioni? “ E’ una cosa un po’ comica, ma la racconto. Entrai a far parte dell’Ufficio Tempi e Metodi il cui compito sarebbe stato quello di monitorare i tempi ed i modi della produzione, solo che essendo un’azienda in grande espansione nessuno rilevava nulla: le cose andavano bene così com’erano”. Durò molto? “ Per un periodo e poi la situazione cambiò. Passai all’Ufficio Acquisti col compito di individuare il migliore macchinario per la produzione; frequentai un

corso interno di inglese e girai il mondo: Stati Uniti, Giappone e tutta l’Europa. Passai poi alla direzione

tecnica e nel 1999 sono andato in pensione”.

Un ricordo di quegli anni? “Mi sono trasferito a Verona quando ho iniziato a lavorare in Mondadori e sono rimasto qui anche dopo la pensione. Tutte le mattine passo davanti al fabbricato dove ho lavorato per decenni che oggi è una struttura abbandonata pur essendo stata il cuore dell’azienda: mi si stringe il cuore vederla in quello stato d’abbandono. E dire che sarebbe un’area preziosa per tutta la città che ha fame di spazi”. Un ricordo dei tempi della scuola? “Prima di tutto gli amici, con i miei compagni si era instaurato un rapporto particolare e non per nulla ci si ritrova ancor oggi con la stessa voglia di stare insieme di allora”. Gli insegnanti? “ Grandi persone e quello che mi dispiace è l’essere stato costretto dal lavoro a non utilizzare praticamente nulla di quello che mi era stato insegnato. Ricordo con nostalgia l'ingegner Dolzani di Elettrotecnica, il professor Margonari di Italiano e per tecnologia Cetto”. Una loro caratteristica ? “L’umanità e l’umiltà. Loro erano tutti “arrivati” e avrebbero avuto il diritto di guardarci dall’alto al basso. Invece al di la di una giusta durezza educativa, prima ancora che il sapere scolastico ci hanno regalato la loro esperienza professionale e di uomini”.













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