l’intervista

Giorgio Fiorini, dal diploma di elettrotecnico alla presidenza Sait

In attesa del raduno decennale dei diplomati all’Istituto, in programma a settembre, parlano i protagonisti di un’epoca 

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Daniele Peretti


ROVERETO. Dalle Iti a 18 anni di presidenza del Sait, grazie alla matematica che si è rivelata elemento fondamentale dello sviluppo professionale di quasi tutti i “ragazzi del ‘64” che il prossimo 16 settembre festeggeranno i sessant’anni dal diploma. Tra questi anche Giorgio Fiorini: “Dalla fama che aveva poteva anche sembrare una istituto facile, pesante solo per le ore di scuola, ma non era assolutamente così. Ne è esempio la matematica che era a livello di un liceo e che ha orientato molti studenti a scegliere facoltà di valenza matematica. Sono ancora riconoscente alla professoressa Moresco che non solo me l’ha insegnata, ma è riuscita anche a farmela piacere”.

Quindi anche scuola selettiva?

Molto selettiva. In prima si era in tanti, ma al momento del diploma in pochi. La selezione avveniva nel biennio, poi una volta scelto l’indirizzo le cose erano molto più facili.

Alcuni aspetti positivi di quel periodo?

Prima di tutto quello di studiare materie tecniche che ci davano la sensazione di essere al passo con i tempi. Poi l’impronta più pratica che teorica che ci ha trasmesso la capacità di scegliere. E’ già stato detto, ma lo voglio rimarcare: quasi tutti gli insegnanti erano anche liberi professionisti con una mentalità del tutto diversa rispetto a quella di chi insegnava solamente. Ci hanno dato un’impronta aziendalista all’insegna della pratica e non della teoria.

Perché scelse l’Iti e l’indirizzo elettrotecnico?

Allora l’elettrotecnica rappresentava il futuro. Poteva anche essere una scommessa, ma tutti davano per certi sbocchi professionali interessanti.

Arriva il diploma e…

Lo accompagna quello che allora si chiamava “presalario”, una sorta di borsa di studio che contribuiva alle spese. Non potevo certo sostenere quelle di un trasferimento a Padova, ma potevo reggere quelle di Verona. Scelsi così la facoltà di Economia e per mantenermi agli studi ho fatto un po' di tutto: dall’insegnante di scuola guida al supplente a scuola.

La scelta della professione?

La devo ancora all’Iti dove ci avevano insegnato ad affrontare i problemi, per questo ho scelto quelli aziendali come commercialista.

Lo sbocco lavorativo?

Sfruttai la mia esperienza nella cooperazione che avevo frequentato già da studente prima in Cooperfidi e poi come presidente del Sait.

Andiamo con i ricordi. Gli insegnanti.

Ricordo ancora un episodio. Era la mattina del 26 gennaio quando il microfono che c’era in tutte le aule iniziò a gracchiare, a seguire la voce del preside che ci annunciava che l'ingegner Crespi nostro professore ci avrebbe raccontato la sua esperienza nella battaglia di Nikolaevka che ruppe l’assedio del Don permettendo alle nostre truppe di iniziare la ritirata di Russia. Bisogna considerare che in quegli anni i ricordi della Seconda Guerra Mondiale erano ancora vivi e trasmettevano emozioni da vivere. Chemelli, il professore di italiano aveva fatto la Guerra d’Africa: tutti ci raccontavano le loro esperienze.

Com’era essere un pendolare negli anni sessanta?

Si partiva da Rovereto alle 6,50 e ci si faceva ritorno non prima delle 19. Le lezioni terminavano alle 12 per riprendere alle 14. Allora c’era solo la mensa della Pontificia Opera Assistenza che era in piazza Dante dove oggi c’è il palazzo della Provincia. L’alternativa era la trattoria Ai Tre Garofani in via Mazzini dove per un primo ed un secondo si pagava 350 lire.

Gite scolastiche:

Una in cinque anni. La nostra classe andò a Monaco a visitare il Deutsches Museum. Al contrario di altri eravamo fortunati a poter fare le visite didattiche che diventano gite di qualche ora. Ricorda ancora il fascino della centrale elettrica di Toblino.













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