Muore a 84 anni l’albergatore Schacher
Moena: originario di Chienes, in Alto Adige, aveva avviato con la moglie Teresa la “Bisola” trasformata in albergo “Foresta”
MOENA. Ieri pomeriggio si è svolta la cerimonia funebre nella chiesa parrocchiale di San Vigilio, a Moena, di Ugo Schacher, morto a 84 anni lunedì all'ospedale di Bolzano dopo una rovinosa caduta dalle scale interne del “suo” hotel Foresta, avvenuta il venerdì precedente. Trasportato in elicottero a Bolzano, l'anziano albergatore, che da molti anni aveva lasciato il suo gioiello in mano ai due figli Walter e Riccardo, non ce l'ha fatta ed è spirato. Fin qui la notizia nuda e cruda. Ma per raccontare chi è stato Ugo Schacher, altoatesino di Chienes, e per spiegare la sua importanza nello sviluppo del turismo fiemmese e fassano ci vorrebbero pagine e pagine. Immagini inequivocabili sono quelle che pubblichiamo: cosa era, almeno pressapoco, la locanda acquistata nel 1963 da questo ex macellaio di Chienes emigrato giovanissimo a Predazzo, assieme a sua moglie Teresa, cuoca e cameriera provetta in alberghi che contavano. Intanto c'è da sottolineare che la “Bisola”, così si chiamava la povera locanda acquistata dagli Schacher, non era in centro di Moena, ma sulla strada che da Predazzo porta a Moena, a solo un paio di chilometri prima di Moena. Di più. Mancava l'acquedotto e se lo sono costruito a proprie spese. Una cosa era certa: i paesani, che da Predazzo tornavano a Moena o viceversa, al Bisola si fermavano volentieri a bere un gotto anche perché i due coniugi erano simpatici. Simpatici sì, ma anche ambiziosi. Di quella locanda – intuiscono che sta scoppiando il boom economico - sognavano di fare un hotel, passando però attraverso passi brevi e ben calibrati.
La prima tappa un ristorante con ben quattro tavoli. Il giorno dell'inaugurazione sono tutti apparecchiati ma a mangiare arriva soltanto un cliente. Polenta, lucaniche e tagliatelle, preparate per una ventina di persone vanno a finire in pasto ai maiali. Roba da demoralizzare anche il più immaginifico dei sognatori. No, i due non si scoraggiano. Non lo fanno nemmeno quando nel 1966 arriva l'alluvione che trasforma il “Bisola” in una sorta di arca di Noè delle loro fatiche.
Teresa e Ugo sono dei duri e non demordono, anzi, rilanciano. All'inizio degli anni '70 con la fiducia che sentono addosso da parte dei valligiani (muratori, elettricisti, imbianchini, idraulici, professionisti) decidono di trasformare il “Bisola” in un albergo con ben cinque, discorsi, cinque stanze, tutte (novità!) dotate di bagno. Lui, Ugo, abbandona il lavoro di macellaio, lei non è più da tempo cuoca “dipendente”. Lui parla un italiano stentato, lei il ladino. E con i clienti francesi che cominciano a frequentare il Bisola? “Parlano” le leccornie di Teresa, la mimica di Ugo, l'intraprendenza, la pulizia, il continuo rinnovo dei locali, l'attenzione alla modernità.
Nascono Walter e Riccardo, bravi figlioli finché si vuole ma che come tutti i ragazzi vorrebbero anche divertirsi. A scuola professionale alberghiera ci vanno e anche con profitto, ma tempo per giocare non ne hanno: quel tempo lo devono impiegare per aiutare i genitori. Commovente: anche loro vorrebbero avere in casa il televisore a colori.
“No, quei soldi risparmiati devono contribuire a pagare gli artigiani per i continui miglioramenti dell'albergo”, si sentono rispondere. (Che da fine anni '80 si chiama “Foresta”, ndr). «Se proprio volete vedere la televisione a colori mettete sullo schermo del televisore in bianco nero un naylon colorato», suggeriscono ai due ragazzi. Altri tempi. Walter e Riccardo capiscono rettitudine e severità dei genitori e, una volta, grandicelli, entrano a far parte della gestione dell'albergo ereditando la prudenza dei piccoli passi ma anche l'ambizione di avere un hotel con centro benessere. Gli anziani genitori si mettono da parte? La mamma Teresa sì. Il padre Ugo lo fa soltanto parzialmente perché quell'ettaro abbondante di giardino di fronte all'hotel al di là della strada provinciale con erba all'inglese, piante e alberi straordinari è una chicca ambientale meravigliosa tutta sua cui dedica (purtroppo ora si deve dire “dedicava”) quasi otto ore al giorno. In primavera ed estate è un biglietto da visita di Moena che viene presentato con orgoglio ai turisti di cui i valligiani devono essere e sono fieri.
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