La pandemia non ferma lo spargimento di liquami 

Primavera odorosa. Gli allevatori della Valle di Fassa concimano i prati e sollevano le proteste dei residenti già obbligati in casa: «L’olezzo ci impedisce di aprire finestre e stare sui balconi»


Gilberto Bonani


Moena. La concimazione primaverile dei prati fa ancora discutere, specialmente in tempi di pandemia. Gli allevatori, approfittano delle belle giornate per spargere in quantità i liquami rimasti per mesi nelle loro aziende. Un’azione antica che le nuove tecnologie esasperano creando problemi e lamentele. In questi giorni i residenti percepiscono un forte olezzo che impedisce di aprire le finestre, stazionare sui poggioli ed esporre il bucato al sole. «Già da un mese siamo costretti a rimanere in casa per la pandemia in atto» – affermano con forza alcuni censiti. Ora dobbiamo barricarci nei nostri appartamenti per evitare di respirare le esalazioni ammoniacali del concime. Questo è troppo. Il sindaco applichi i regolamenti».

Un tempo ogni stalla accumulava gli escrementi degli animali in letamai, situati anche vicino alle case. Qui lo stallatico “maturava”. Una complessa serie di reazioni chimiche riduceva l’acidità e le emissioni di sostanze irritanti nell’atmosfera. In primavera il concime veniva trasportato e sparso nei terreni. L’operazione era capillare e riguardava orti, campi e prati, anche quelli che si raggiungevano con difficoltà. Oggi tutto è cambiato. L’attività di allevamento è concentrata in poche stalle con molti capi di bestiame. Le deiezioni vengono asportate meccanicamente, conservate in cisterne da dove vengono poi aspirate e sparse abbondantemente solo nei terreni pianeggianti su cui è possibile operare con mezzi meccanici.

Il problema si trascina da anni e per ora, in Fassa, non si trovano soluzioni. La popolazione teme l’effetto (mai del tutto chiarito) dell’inalazione di ammoniaca, nitriti, nitrati, indolo, scatolo, putrescina, sostanze che si formano in fase di degradazione del materiale organico. Sostanze che potrebbero interferire con la nostra salute.

C’è poi l’effetto (questo sì ormai palese) sulle varietà botaniche dei prati. L’alta acidità dei liquami non fermentati seleziona piante resistenti, come le graminacee, e riduce le altre specie. Chi ha l’occhio allenato nota che i fiori, l’insegna multicolore della primavera, sono radi nei prati di fondovalle. E poiché le api si cibano di polline si comprende la diminuzione dei preziosi insetti e la battaglia che gli apicoltori portano avanti da anni.

L’unico paese che ha affrontato il problema è Predazzo che ha realizzato un biodigestore dove gli allevatori conferiscono il letame. Qui, tramite una processo anaerobico (in assenza di aria), si ottiene biogas inviato alla vicina centrale termica mentre la parte solida perde buona parte della carica odorosa aumentando l’accettabilità sociale della concimazione. Purtroppo il carico di azoto e fosfati rimane invariato e quindi, senza altri accorgimenti, permane l’azione ostile alla biodiversità, quindi sulla presenza di fiori e delle api.















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