l’intervista

Ezio Feller e le Iti da pendolare: «La mattina a fare i compiti sulle panchine della stazione»

In attesa del raduno decennale dei diplomati all’Istituto, in programma a settembre, parlano i protagonisti di un’epoca

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Daniele Peretti


BESENELLO. Con qualsiasi tempo Ezio Feller si alzava alla mattina presto ed indossate le scarpe “grosse” percorreva la strada sterrata che da Besenello portava alla stazione di Calliano. Qui le cambiava indossandone un paio più leggero “da città” e saliva sul treno delle 7 e 7 minuti col quale arrivava a Trento.

“Così tutte le mattine con qualsiasi tempo. A mezzogiorno la scuola finiva e si correva alle due mense nelle quali potevamo mangiare: quella della Ferrovia di corso Buonarroti e quella Pontificia Opera Assistenza che era nell’interrato dell’attuale Palazzo della Provincia. Si sceglieva quella che dava più da mangiare perché il prezzo era simile. Quando faccio questo racconto ai miei nipoti non ci credono, gli sembra impossibile”.

Ezio Feller era l’ultimo di sei figli, il papà era ferroviere, ma la famiglia era di estrazione contadina. “La scuola? All’inizio non era fatta per me. Frequentai le otto classi delle elementari, a seguire tre anni di avviamento professionale, poi due di riflessione. Mia mamma volle che mi iscrivessi alle Iti indirizzo meccanico e devo dire che mi piacque subito”.

Un ricordo dei professori?

“Indimenticabile il preside Almerino Viola per il quale avevo una venerazione, poi l'ingegnere Bortolotti di Meccanica ed il professor Mangano di Tecnologia. La nostra scuola era penalizzata dagli orari e per noi pendolari era ancora peggio. Non ero mai a casa prima delle 19 e alla mattina ci si doveva alzare presto. In attesa del treno ci mettevamo sulle panchine della stazione a fare i compiti”.

Dopo il diploma?

“Arrivò la sveglia perché nonostante tutto ero un tontolone. Corso Ufficiali Alpini ad Aosta, poi al Brennero con compiti di ordini pubblico, erano gli anni degli attentati. Ci mandarono in una malga vicino al confine per controllare i movimenti, ci rimanemmo fino alla prima nevicata quando fummo trasferiti a Bressanone”.

Dopo i quattordici mesi di servizio militare?

“Avevo vinto due concorsi in Ferrovia: personale viaggiante ed aiuto macchinista, ma non mi piaceva nessuno dei due. Avevo la fidanzata che poi è diventata mia moglie a Milano e decidemmo di mettere un annuncio sul Corriere della Sera. Trovai subito: manutentore meccanico all’Italcementi e lavoro a Trento”.

Come si trovava?

“Non bene, dovevamo fare la manutenzione su macchine vecchie ed usurate senza nessuna tecnologia. Tant’è che dopo tre anni sono passato alla Michelin”.

Un altro mondo?

“Si lavorava con la mentalità francese, c’erano persino dei reparti segreti dove si sperimentava, i famosi segreti industriali”.

Fece carriera?

“Ventidue anni di lavoro fino alla crisi della Michelin che arrivò quando avevo la qualifica di Responsabile della Manutenzione Meccanica”.

Un ricordo?

“Erano gli anni ‘70, quelli della contestazione dura. Ricordo quel giorno che gli operai decisero di fare un corteo interno il che voleva dire invadere la fabbrica nella quale si lavorava: una cosa mai vista prima. Entrarono dappertutto anche nei reparti segreti, quando arrivarono nel mio la paura era che potessero prendere dai tavoli gli attrezzi da lavoro ed in quel caso la situazione si sarebbe fatta molto più difficile. Per fortuna andò tutto bene”.

Un ricordo del lavoro?

“Noi della manutenzione eravamo visti come un peso, una spesa inutile sulla quale non si investiva. Sono andato in pensione con la convinzione che l’importanza del nostro ruolo non sia mai stata capita”.













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