Caso Pfas, cinque denunce per i veleni
Sostanze impermeabilizzanti indistruttibili diluite nell'Adige: dalle discariche al fiume e poi ex Gallox e area Sunfarma
IL CASO. I Pfas finiscono dalla Maza nel fiume Adige
ROVERETO. Non si scherza con i Pfas. Non si scherza con l’ambiente e con la salute. E così il caso “sostanze tossiche nel fiume Adige” è finito in Procura. Anzi, al plurale, perché le Procure dove sono state fatte arrivare le denunce sono cinque: Rovereto, Verona, Padova, Venezia e Rovigo. «Per i danni derivanti dall’inquinamento del fiume Adige lungo il suo percorso» si legge nell’esposto firmato dall’avvocato Gloria Canestrini (ColT - Comitato legalità e trasparenza del Trentino) e Germano Fatturini (portavoce di Rinascita Rovereto).
I Pfas sono sostanze perfluoroalchiliche. Si tratta di impermeabilizzanti (inodori, incolori, insapori e idrosolubili) usati dalla grande industria. Servono per rendere idrorepellenti tessuti tecnici, pelli, pellicole, pentole, detergenti, schiume anti-incendio. Se dispersi nell’ambiente, in caso di contatto prolungato con gli esseri umani, possono causare gravi malattie (infertilità, sviluppo anomalo dell’apparato genitale dei bambini, tumori, disfunzioni della tiroide e problemi al sistema nervoso). In Veneto sono tristemente noti perché hanno compromesso una falda acquifera grande come il Lago di Garda e sono finiti anche nell’acquedotto. Risultato: per anni la popolazione ha assunto queste sostanze (le hanno bevute, le hanno ingerite perché quell’acqua è stata utilizzata per cucinare, senza contare che i Pfas oltre che nell’acqua si muovono anche nell’aria).
Per il caso trentino tutto parte dai servizi pubblicati da questo giornale. Ci riferiamo in particolare alla questione del percolato della discarica Maza di Arco. Il percolato è il liquido che viene raccolto in fondo ai depositi di rifiuti, diciamo che è il risultato del passaggio di acqua (piovana o di sorgente) che attraversa i rifiuti. In un rapporto di prova dell’aprile 2019 dei tecnici dell’Appa (Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente) hanno registrato la presenza dei famigerati Pfas.
Attenzione: i Pfas sono stati trovati nel percolato a concentrazioni molto elevate (7800 ng/litro); il percolato - come spiega l’avvocato Gloria Canestrini - viene regolarmente portato al depuratore di Rovereto con autocisterne da 30 tonnellate di portata; il depuratore non è attrezzato per bloccare i Pfas. E così queste sostanze finiscono nelle acque dall’Adige: eliminate per diluizione, dove il verbo “eliminare” non potrebbe essere più sbagliato proprio perché queste sostanze bioaccumulabili, non vengono distrutte.
Dopo quel rapporto di prova, per anni, fino alla primavera del 2023, non sono state fatte ulteriori analisi. Nel maggio scorso, vista anche l’attenzione mediatica sulla vicenda (i nostri articoli sono usciti proprio quando è stata pubblicata la mappa interattiva sulla presenza di perfluoroalchilci in Europa, realizzata dal quotidiano francese “Le Monde”), sono stati fatti interventi: Appa nelle scorse settimane ha fatto sapere che è accertato che i Pfas, a concentrazioni analoghe a quelle della Maza di Arco, si sono registrati anche nelle discariche di Rovereto e Trento (le discariche in provincia sono otto e si stanno attendendo i dettagli circa le altre cinque).
La questione percolato è quello che più, secondo l’avvocato Canestrini, dovrebbe preoccupare: «Parliamo di un liquido che contiene i Pfas. E già qui siamo contro la legge, perché il percolato è già considerato rifiuto e non può finire nel depuratore dove possono essere trattate solo sostanze definite». Il caso Pfas è diventato oggetto di interrogazioni in consiglio comunale (da parte di Gabriele Galli di Rinascita Rovereto) e in consiglio provinciale (da parte di Filippo Degasperi di Onda).
Nel testo dell’esposto moltiplicato per cinque (le Procure di Rovereto, Verona, Padova, Venezia e Rovigo) si cita la risposta dell’assessore all’ambiente Mario Tonina: «L’assessore provinciale rispondeva, tra l’altro, che “nei percolati delle discariche sono comunemente presenti Pfas “e che” nel percolato della discarica di Arco “non si tratta di un’enorme presenza di Pfas”, (omettendo con ciò il fatto che parte di tale percolato viene poi trasferito al depuratore di Rovereto, sguarnito di sistema di osmosi inversa, l’unico che, sotto una specifica soglia di contaminanti Pfas, possa impedire la dispersione nell’ambiente delle sostanze in parola).
Quanto alle quantità riscontrate di detto gruppo di sostanze nella discarica di Arco, l’“enormità” parrebbe invece raggiunta, solo a considerare la presenza rilevata di 7800 nanogrammi litro». I denuncianti Canestrini e Fatturini evidenziano i casi di inquinamento da Pfas nell’area industriale ex Gallox e nella zona dove sorge lo stabilimento Sunfarma a Lizzana di Rovereto: «Sussiste una mobilizzazione ad uso industriale delle falde acquifere, laddove le acque pulite attinte vengono utilizzate per diluire le lavorazioni. Ciò parrebbe ancor più grave allorché nel rilascio delle acque inquinate siano riscontrabili anche i Pfas».