Attenti al Poligono, la pianta aliena che infesta i fiumi trentini
A primavera, la Reynoutria japonica ha l’aspetto di una bella siepe fiorita ornamentale, ma per le piante autoctone è peggio della peste. La sua diffusione preoccupa soprattutto in Val Rendena, Valli Giudicarie e Val di Sole
TRENTO. In certe aree siamo ormai all’allarme rosso per il rischio di estinzione di alcune specie arboree pregiate, un fenomeno che sta sollevando grande apprensione soprattutto in Val Rendena, Valli Giudicarie e Val di Sole. Si tratta della fortissima e pervasiva penetrazione lungo le sponde fluviali di una pianta aliena, il “Poligono del Giappone” (Reynoutria japonica), che sta fortemente minacciando la biodiversità delle aree fluviali.
La Reynoutria, infatti, fa parte delle 100 peggiori specie alloctone classificate nel 2004 dall’Organizzazione Europea e Mediterranea per la Protezione delle Piante. Il problema non esiste solo in Trentino ed è stato segnalato anche sulle rive del Po e in altre zone d’Italia, a Milano aggredisce perfino gli edifici, mentre a Londra le case infestate dal Poligono del Giappone si svalutano di 30.000 sterline.
A primavera ha l’aspetto di una bella siepe fiorita di tipo ornamentale, ma in realtà per le piante autoctone è peggio della peste. Sulle rive della Sarca, dal Ponte Canale di Pinzolo e fino al lago di Ponte Pià, la proliferazione è esplosa, uccidendo specie come il salice, l’ontano, il pioppo, il nocciolo. Ma è presente anche sulle sponde del Noce e dell’Adige a nord di Trento. Per Alessio Bertolli, botanico del Museo Civico di Rovereto, che si occupa di monitorare la diffusione di questa specie, in certe zone negli ultimi tre anni, la situazione è andata fuori controllo.
«Soprattutto lungo le sponde del fiume Sarca, fino quasi al lago di Garda, l’invasione ha assunto dimensioni preoccupanti – dice Bertolli - mentre nel Trentino orientale esistono solo alcuni focolai sporadici. Le cause sono diverse, in primo luogo in qualche baita di montagna, non conoscendone le caratteristiche, il Poligono viene utilizzato come pianta ornamentale, poi quando si sfoltisce la siepe, dato che la riproduzione è per frammentazione, i rizomi vengono sparsi o gettati lungo il fiume, dove attecchisco in gran quantità.
Un'altra occasione di diffusione è legata ai lavori di movimento terra lungo gli argini, oppure alla pulizia delle sponde dopo le piene dei fiumi, mentre un’altra evidenza preoccupante, con il surriscaldamento climatico, è l’innalzamento di quota dei focolai: oggi superano i 1.700 metri».
Ad affrontare il problema in Trentino sono diversi enti che spesso collaborano tra di loro: il Servizio Provinciale delle Aree Protette, che cerca di agire sul contenimento attraverso i fondi europei da destinare ai comuni della rete delle Riserve, la Fondazione Mach nella ricerca e sperimentazione, il Museo Civico di Rovereto per quanto riguarda il monitoraggio, i due Parchi Adamello Brenta e dello Stelvio, con azioni di contenimento e di controllo, il Parco Fluviale della Sarca e la Rete della Riserve Alto Noce per i momenti formativi.
Tuttavia debellare la perniciosa invasione del “Poligono del Giappone” al momento pare impossibile. Il motivo lo spiega Matteo Viviani del Parco Naturale Adamello Brenta: «La pianta si diffonde sia attraverso le radici, che i rizomi, che i pezzi di fusto, pertanto, non può essere oggetto delle consuete tecniche di sfalcio. Le radici, molto vigorose, affondano per 4 metri sotto il terreno, bucando anche l’asfalto e per oltre 7 in senso longitudinale. Da una stagione all’altra triplica la sua presenza e in una settimana cresce di 30 centimetri. Dal 2014 teniamo sotto controllo i confini dell’area Parco e in alcuni casi siamo riusciti a debellarla in altri a contenerla, come in Val Genova, in val Nambrone, in Valle d’Algone e a Madonna di Campiglio».
Lo scorso anno il Parco Fluviale della Sarca, riferisce il presidente Gianfranco Pederzolli, ha svolto iniziative con i comuni della val Rendena più colpiti, per istruire la popolazione su come trattare la pianta infestante. Un amministratore locale che si è preso molto a cuore il problema è Matteo Motter, consigliere del comune di Pelugo in Val Rendena. «Abbiamo provato di tutto – racconta – tramite i fondi europei destinati alle specie invasive, abbiamo provato in un tratto a eradicare la pianta e passare poi con il Piro-diserbo, ma bastava qualche giorno di pioggia e la pianta ricresceva vigorosa. Non più tardi di un anno e mezzo fa abbiamo tentato di soffocare la pianta con dei teli neri di fibra di cocco: ancora non sappiamo se funzionerà. Abbiamo fatto serate informative con la popolazione, formazione per i tecnici, ma basta che arrivi una qualsiasi squadra di manutenzione che non sa come trattare la pianta, per far esplodere di nuovo la diffusione».
È un problema molto serio anche a detta di Giorgio Maresi della Fondazione Mach. «Sono 78 in Trentino i focolai di proliferazione ed estirpare la pianta è praticamente impossibile, stiamo perdendo fette importanti di capitale naturale dei nostri fiumi. Servirebbero sinergie e un coinvolgimento economico robusto a livello nazionale ed europeo, con una verifica degli impatti su tutto l’ecosistema fluviale italiano».