«Abbiamo visto il jumper precipitare» 

Il drammatico racconto dei testimoni dell’incidente in cui ha perso la vita Reginaldo Gomes Da Silva



DRO. «Il primo rumore assomigliava a una frustata, a un colpo secco, quello di un paracadute che si apriva sopra le nostre teste. Il secondo, invece, era diverso, più lungo. Sì, come quello di un caschetto che striscia sulla roccia». Terribile la testimonianza ai carabinieri di Arco dei climber nordici che mercoledì sera hanno assistito, a poca distanza, alla tragica fine del jumper brasiliano di 26 anni, Reginaldo Gomes Da Silva, residente in Francia, militare della Legione straniera, schiantatosi contro la roccia della parete Zebrata, ai piedi del monte Brento. Testimonianza terribile perché terribile è ciò che è successo poco dopo le 20 durante l'ultima sessione di lanci della giornata. Da Silva, pur indossando la tuta alare, non è riuscito ad allontanarsi a sufficienza dalla parete strapiombante più conosciuta al mondo finendoci addosso dopo pochi secondi di volo conclusi con una virata verso sinistra rispetto al Becco dell'aquila. Una traiettoria inspiegabile che lascia aperto ogni dubbio sulle ragioni che hanno provocato l'incidente, anche se l'ipotesi più verosimile è purtroppo anche la più semplice: errore umano dovuto ad una scarsa esperienza di lanci. L'impatto con la roccia è stato violentissimo: il ventiseienne brasiliano è morto sul colpo.

Il gruppo di scalatori svedesi ha raccontato di aver visto la vela volteggiare senza più controllo fino a sparire fra gli arbusti e la roccia. Giusto il tempo di mettersi in sicurezza ed è partita la richiesta di aiuto alla centrale operativa che ha dato il via alle operazioni di soccorso, purtroppo trasformatesi subito in un mesto recupero della salma. L'elicottero ha sorvolato per qualche secondo l'area indicata dagli scalatori, quindi una volta individuata la vela ammassata su sé stessa è stato fatto calare il medico rianimatore che ha constatato il decesso del giovane. A quel punto l'elisoccorso ha fatto rientro a Trento dopo aver trasportato ai piedi del Brento gli uomini del Soccorso alpino della Stazione di Riva, guidati dal comandante Danilo Morandi, successivamente raggiunti, in auto, da altri colleghi per un totale di otto uomini. Nel frattempo, a Gaggiolo i vigili del fuoco di Dro hanno acceso la fotoelettrica illuminando l'area dell'intervento mentre i carabinieri della Stazione di Arco (supportati dai colleghi di Dro) si sono messi in contatto con il magistrato per il nullaosta alla rimozione della salma. Il trasporto in valle dei resti del brasiliano è durato quasi due ore.

Tutt'altro che semplice l'identificazione dello sfortunato jumper. «È salito assieme a noi con la “navetta” ma era da solo e non ha proferito parola con nessuno, se non per augurarci un buon volo. Si è lanciato fra il primo e il secondo gruppo, una decina di minuti prima di me», il racconto di un jumper milanese che ha messo i carabinieri sulla traccia giusta. Presente nella zona, nei minuti fatali, anche il vicesindaco di Arco Stefano Bresciani che a Fies possiede un piccolo casolare di campagna. «Ho sentito in maniera distinta delle urla provenire dall'alto», spiegava il vicesindaco mentre seguiva le operazioni a bordo strada. Maurizio Di Palma, punto di riferimento di tutti i jumper che vengono a lanciarsi dal Becco dell'aquila, si è messo a disposizione dei carabinieri per cercare di risalire all'identità del jumper, fino a quel momento privo di nome, contattando i gruppi di amici e le varie strutture ricettive per capire se qualcuno non aveva fatto rientro.

Il brasiliano era venuto in Italia da solo e da solo aveva deciso di provare l'esperienza adrenalinica del tuffo dal Becco dell'aquila. La ricerca si è ufficialmente conclusa solo grazie ai documenti contenuti nel portafoglio dell'uomo. Con l'incidente mortale di mercoledì sera sono 19 le croci del Brento.

(gl.m.)













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