Tina Merlin, voce della denuncia sul Vajont
La giornalista indicò i rischi: nessuno l'ascoltò. Poi, arrivò la catastrofe...
Soldi e soldi. Profitto e profitto. E il valore delle vite umane? Dopo, sempre dopo. Dopo i disastri, dopo le catastrofi. Oggi come ieri. Tina Merlin denunciò la minaccia del Vajont. Ma fu denunciata. Arrivò la catastrofe. Duemila morti. E tutti videro. Dopo, sempre dopo. Ma cambiarono?
Famiglia povera di contadini quella in cui viene alla luce Tina Merlin il 19 agosto 1926 a Trichiana, paese del bellunese. Sua madre le raccontava di quando, alla fine dell’800, terminata la terza elementare, andò a servire in Trentino: “Eravamo una quindicina, maschi e femmine, tutti bambini, reclutati da una donna del paese. Partimmo di notte che c’era la luna e camminammo, camminammo in fila indiana tutta la notte e tutto il giorno successivo finché arrivammo in Valsugana. Qui la donna ci smistò nei paesi e nelle valli dei contadini. Pascolavo le mucche, rastrellavo il fieno, lavavo i piatti. Dopo otto mesi, tornammo a casa con il compenso: un po’ di crauti e maiale affumicato”. Tina durante la Liberazione è staffetta partigiana. Comunista, dal 1951 al 1967 è corrispondente del quotidiano “l’Unità”, organo del Pci.
Segue le vicende del Vajont. Alla fine degli anni ’50 il progetto, voluto dalla Società Adriatica di Elettricità (Sade), della gigantesca diga sul torrente Vajont, affluente del Piave, spaventa i paesi friulani di Erto e Casso, al confine col bellunese. Il monte Toc è fragile. Ma la Sade comanda su tutto e su tutti: Dc, giornali, governo. Tina è l’unica a dare voce sull’”Unità”, già nel 1959, alle proteste degli abitanti: “L’acqua dell’invaso eroderà sponde, scaverà buche, toglierà stabilità alle vecchie frane”.
La Sade la denuncia. Tina viene assolta, ma il progetto va avanti. La Sade è troppo potente. Scosse, crepe, tonfi. “Il pericolo diventa sempre più incombente”, scrive Tina l’8 novembre 1960 in un mare di silenzi e complicità. La tragedia accade alle 22.39 del 9 ottobre 1963. Tina scrive: “Un lampo accecante, un pauroso boato. Il Toc frana nel lago sollevando una paurosa ondata d’acqua. Questa si alza terribile centinaia di metri sopra la diga, tracima, piomba di schianto sull’abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della terra”. Tre minuti, 2000 vittime. Tina si spense il 22 dicembre 1991. Per anni non trovò un editore per il suo libro sul Vajont, “Sulla pelle viva”, uscito solo nel 1983. “Il giorno dopo il Vajont la gente era convinta che la tragedia doveva essere il punto di partenza per una riflessione collettiva. Dalla quale partire per cambiare, per mettere in discussione rapporti e metodi.” Non fu così.