Don Dante Clauser, dalla parte degli infelici
Il prete trentino che lasciò tutto per stare con i più deboli. Aveva capito che la verità del mondo si vedeva da quella parte
Se fosse vivo, don Dante Clauser avrebbe mandato all’inferno a suon di parolacce gli americani vedendo come trattano le persone senza dimora in questa drammatica emergenza. Parcheggiate in un piazzale come oggetti. I più ricchi al mondo che trattano così i più poveri.
E poi non sarebbe perverso questo sistema? Adesso che ci scopriamo tutti deboli, scopriamo anche che il mondo è un altro visto dalla estrema precarietà. Don Dante Clauser lasciò tutto per stare con i più deboli. Aveva capito che la verità del mondo si vedeva da quella parte.
Nacque il 7 dicembre 1923. Sua madre, Amalia Tamanini, maestra, era di Mattarello. Suo padre, Luigi, era di Cloz e come tecnico provinciale seguiva i lavori pubblici spostandosi di paese in paese. Dante nacque così a Lavarone. Crebbe a Pergine, Folgaria (quattordici anni) e Trento dove entrò in seminario diventando sacerdote nel 1947. Cappellano a Calavino, accolse in una casa fatiscente un gruppo di ragazzini poverissimi. Poterono mangiare, vestirsi e andare a scuola. Ogni tanto andavano insieme a cantare davanti alle chiese dei paesi vicini. Portavano festa.
Nel ‘48 fu chiamato a dirigere la Piccola Opera Divina Misericordia di Levico che accoglieva giovani in difficoltà. Abolì la sveglia col battito delle mani e la sostituì con musica allegra. Poi lo troviamo a Bolzano, allora diocesi di Trento, a costruire la Casa del fanciullo per ragazzi bisognosi. Quindi è a Roma con un ruolo negli scout. “La mia vita diventò frenetica”, raccontò. Lasciò i fasti romani e chiese una minuscola parrocchia, Vignola, nel perginese. Quattro anni felici. Poi Vezzano, ragazzi poveri anche lì. Quindi, nel ’64, parroco in San Pietro a Trento, dove si venerava il falso martire Simonino. Il vento del Concilio Vaticano II investe la Chiesa e spazza via anche il falso martire di cui erano incolpati gli ebrei. C’è il Sessantotto e le prediche di don Dante sono un cardine del cambiamento.
Nel ‘77 lascia la parrocchia per stare con le persone senza dimora. Le accoglie in un piccolo appartamento. Poi dà vita, con l’aiuto di tanti, alla cooperativa Punto d’incontro che guida con Piergiorgio Bortolotti. Muore l’11 febbraio 2013. In queste difficili settimane il Punto d’incontro è sempre aperto, come lo voleva don Dante, perché gli ultimi, italiani e stranieri, trovino accoglienza. Se don Dante fosse vivo manderebbe in quel posto anche i razzisti, i leghisti e tutti quelli che calpestano gli infelici. Altro che salamelecchi, come spesso accade tra il basso e l’alto clero. Dalla parte degli ultimi non ci si sta impunemente.