Caponnetto, esile uomo d'acciaio
Quando uccisero Chinnici, lui si offrì, a 63 anni, di prendere il suo posto come procuratore capo a Palermo. E coordinò il pool antimafia di Falcone e Borsellino
Quando il 29 luglio 1983 la mafia uccise a Palermo il giudice Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto, siciliano, che aveva lasciato l’isola bambino e faceva il magistrato nella tranquilla Firenze, si offrì, a 63 anni, di prendere il suo posto. “A questa età bisogna pur essere abituati a convivere con l’idea della morte”, disse.
Un gesto che in questi nostri drammatici giorni di epidemia vediamo, con ammirazione, compiere da tanti uomini e donne che prendono il posto, rischiando la vita, di chi si è ammalato o è morto curando le persone contagiate.
Chinnici, coraggioso e valentissimo magistrato, era saltato in aria per un’autobomba insieme ai due uomini della scorta e al portiere del palazzo. In solitudine e nello sfascio generale aveva fatto un grande lavoro innovativo e abbozzato il progetto di pool antimafia. Caponnetto, tra molti nemici, sviluppò con una intelligenza e una determinazione stupefacenti quell’intuizione e diede una svolta impressionante alla lotta alla mafia. “Se non ci fosse stato quest’uomo dimesso, umile, con una spina dorsale d’acciaio, non avremmo avuto Falcone, Borsellino, il pool antimafia, il maxi processo, non avremmo visto in galera centinaia di boss”, ha detto un esperto come Saverio Lodato.
L’esile uomo d’acciaio valorizzò, coordinò, guidò e coperse il lavoro magistrale del pool che aveva costruito e che era inizialmente composto da Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta, Natoli. Grazie a questo contesto, il boss pentito Buscetta rivelò a Falcone cosa era l’organizzazione Cosa Nostra, nome e struttura della mafia fino ad allora ignoti. Il gigantesco lavoro del pool portò nel 1985 al maxiprocesso e ai suoi storici risultati. Caponnetto, certo che Falcone sarebbe stato scelto al suo posto, lasciò Palermo nel 1988. Ma, grazie a un paio di traditori, a Falcone preferirono un altro. Caponnetto per protesta si dimise dal Csm.
Ritornò a Palermo nella terribile estate del ’92 quando uccisero Falcone e Borsellino. “È tutto finito”, disse sconvolto. Poi tornò a impegnarsi in prima fila. Morì il 6 dicembre 2002. Ai funerali una folla , ma nessun esponente del governo Berlusconi. Nell’agosto 1994, in un buio momento della Repubblica, venne a Brentonico alla “scuola” della Rosa Bianca e incoraggiò i giovani: “Non dobbiamo mai avere paura di sperare e di sognare. È una ricchezza interiore che dobbiamo coltivare. Ci saranno altre notti. Ma prepariamoci ad affrontare uniti il lavoro che ci aspetta quando arriverà l’alba, ad affrontarlo consapevoli delle difficoltà, ma forti delle speranze che abbiamo in noi.”