«Perché su Moro e le Br resta poco da scoprire»
Nel suo nuovo libro lo storico Vladimiro Satta analizza i lavori dell’ultima Commissione parlamentare: martedì prossimo ne parlerà a Levico Terme
Annunciava rivelazioni clamorose, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro istituita nella scorsa legislatura. Ma alla fine non ha prodotto neppure una relazione conclusiva. Arriva dunque a proposito il libro che l’ex deputato Fabio Lavagno, che ne faceva parte (eletto nel 2013 in Sel e poi passato al Pd), e lo storico Vladimiro Satta, documentarista del Senato, hanno dedicato appunto ai lavori della Commissione, “Moro. L’inchiesta senza finale” (Edup, 295 pagine, 22 euro). Lo stesso Satta ne parlerà martedì prossimo 24 luglio a Levico Terme, alle 21 al Grand Hotel Imperial, nell’incontro-dibattito “Moro. Dietrologie e inchieste senza fine” con Giorgio Postal, ex parlamentare Dc e presidente della Fondazione Museo Storico del Trentino, e con chi scrive, introduce Fernando Orlandi. Organizza la Biblioteca Archivio del Csseo in collaborazione con la Biblioteca comunale e La Piccola Libreria.
Satta, quante novità sono effettivamente emerse?
Ben poche. E sembrano riguardare la vicenda Moro solo indirettamente. Infatti la principale, ovvero l’individuazione di due persone finora sfuggite alla giustizia, le quali nell’autunno 1978 ospitarono in casa loro il brigatista latitante Gallinari, consente di perseguire gli autori di un reato che, però, avvenne mesi dopo la morte dell’onorevole. Ancora, avere accertato che le prime insinuazioni di complicità di Moretti con gli Usa furono una falsità propinata dal Sid, il nostro servizio segreto, ai palestinesi affinché prendessero le distanze dalle Br, è curioso, ma ha poco o nulla a che fare con il caso di Moro.
E la vicenda del colonnello Guglielmi? Era in via Fani quella mattina. E si è sempre detto che fosse lì per un pranzo.
Questa è effettivamente una vicenda più attinente a Moro e agli agenti della scorta uccisi in via Fani. Ma dal ritrovamento di un verbale di interrogatorio redatto negli anni Novanta, si apprende che il colonnello Guglielmi, lungamente accusato dai “dietrologi” di essere stato il regista dell’attacco proprio a causa dell’apparente incongruenza circa l’orario della visita da lui fatta a un amico nella vicina via Stresa, in realtà aveva fornito al magistrato spiegazioni persuasive. E per di più, il 16 marzo 1978 era in compagnia della propria moglie, circostanza assolutamente incompatibile con una rischiosissima e segretissima missione pluriomicida. La verità emersa a proposito del colonnello Guglielmi, insomma, è che egli fu tirato in ballo da giornali, tv, pamphlet e opere cinematografiche sulla base di un equivoco, per non dire una montatura, nel quale sono caduti in tanti, ma fortunatamente mai l’autorità giudiziaria.
Può citare altri elementi della vulgata che la Commissione ha contribuito a smontare?
Direi soprattutto la presunta partecipazione di un misterioso superkiller all’agguato in via Fani, l’asserita prigionia di Moro in via Gradoli e l’ipotetica registrazione di sue scottanti dichiarazioni su audiocassette rinvenute nella stessa via Gradoli. La Commissione è tornata su ciascuno di questi tre punti potendosi avvalere delle più moderne e sofisticate tecnologie e dell’aiuto della Polizia scientifica, e ha ottenuto risultati che ricalcano quelli delle indagini passate.
Vale a dire?
Primo, la ricostruzione computerizzata dimostra che in via Fani non c’era alcuno sparatore particolarmente abile (più di quanto potessero esserlo i brigatisti autodidatti), anzi dimostra il contrario. Secondo, gli esami del Dna sui reperti trovati nell’appartamento di via Gradoli provano che Moro non fu imprigionato lì. Terzo, le audiocassette sono state riascoltate con mezzi tali da far riemergere anche rumori di sottofondo, vanificando tentativi di rendere incomprensibili i contenuti originari mediante sovrapposizione di contenuti diversi. E non recano la voce di Moro: quindi niente rivelazioni scottanti e nessun relativo depistaggio. In realtà, già prima c’erano ottime ragioni per pensare che le cose stessero come le indagini disposte dalla Commissione hanno ribadito. Ora si spera che, almeno su questi tre punti, tutti si siano convinti.
Perché il titolo “L’inchiesta senza finale”?
Il titolo si riferisce in primo luogo all’esito dell’inchiesta parlamentare. Più in generale, però, il concetto è applicabile all’incompiutezza, per non dire inconcludenza, dei quarantennali tentativi di contrapporre un’alternativa alla ricostruzione giudiziaria della vicenda Moro, formatasi nel 1983 e condivisa dalla Commissione parlamentare dell’epoca e dai più autorevoli studi storiografici in materia. A mio parere questa catena di insuccessi non dipende da demeriti dei singoli che si sono cimentati, ma dal fatto che i pregiudizi difficilmente portano a qualcosa di buono.
Quali ombre restano ancora sul caso Moro? O davvero tutto è stato fino in fondo chiarito?
Non parlerei di ombre, ma di lacune, che sono tutto sommato fisiologiche trattandosi di ricostruire assai dettagliatamente una vicenda complessa cui, in un ruolo o in un altro, prese parte una gran quantità di persone. A ben vedere, il caso Moro è conosciuto molto meglio di tante altre vicende dei cosiddetti “anni di piombo”: basti pensare all’attentato al treno Italicus, di cui possiamo dire solo che fu opera di neofascisti, ma non sappiamo i nomi né degli ideatori né degli esecutori. O anche della strage di Piazza Fontana, che possiamo imputare a Freda e Ventura, i quali tuttavia non possono avere fatto tutto da soli.
E quella Honda passata in via Fani con due motociclisti?
Resta ancora incerto se facessero parte del gruppo di assalitori o no. Inoltre, altra lacuna, ritengo altamente probabile che nel quartiere Balduina, per l’abbandono delle vetture usate in via Fani e per la sorveglianza del furgone con cui i criminali proseguirono la fuga, abbia operato un brigatista o un complice delle Br, tuttora sconosciuto e dunque mancante all’appello. Scoprire il suo nome sarebbe bello e importante per una questione di principio, ma non cambierebbe il senso globale della storia.
Alla fine, è stata utile questa Commissione d’inchiesta?
Lo è stata sicuramente nella misura in cui ha smentito una serie di fantasie, e a mio avviso avrebbe fatto bene a valorizzare maggiormente i chiarimenti cui è pervenuta. Non lo è stata invece laddove non è riuscita a dare risposte agli interrogativi che si era posta. Lascio giudicare ai lettori se dopo un’inchiesta durata oltre tre anni, condotta da 60 parlamentari con l’ausilio di numerosi collaboratori e conclusasi senza una relazione finale, l’utilità sia stata poca o molta.
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