TRENTO. Era un numero 10 di quelli alla Sivori, calzettoni abbassati, tutto dribbling e progressioni. Ai tempi della Spal, in Serie A, la sua riserva si chiamava Fabio Capello e in un mitico match di Coppa Italia contro il Milan di Rocco, aveva annullato uno come Gianni Rivera «anche se – spiega sorridendo – va detto che lui doveva giocare dopo pochi giorni in Nazionale e Rocco gli continuava a gridare “sta bono, tieniti”». Poi le sei stagioni al Trento e quel gol che nel ’70, nello storico spareggio di Valdagno, valse la promozione dei gialloblù in serie C e fece esplodere gli 8mila tifosi trentini al seguito della squadra. Oggi Marcello Scali è uno dei dirigenti dell’Ac Trento i cui pali, ironia della sorte, sono difesi da suo figlio Stefano, portierone dai piedi buoni, con tanta testa sulle spalle e reattività da vendere: uno che a 13 anni ha scoperto il calcio, a 17 debuttava in serie D con il Mezzocorona e adesso s’è cucito addosso la maglia gialloblù. Insomma padre e figlio colonne del Trento: uno i gol li faceva, l’altro fa di tutto per evitarli.
Marcello te l’aspettavi un figlio portiere?
Non è sicuramente un problema. In fondo anche il più grande di sempre, Pelè alla fine ha avuto un figlio portiere. Cose che succedono. Sono contento, invece, che lui alla fine si sia appassionato al calcio. Da ragazzino sembrava non gliene importasse nulla.
E poi Stefano cos’è successo?
Mi è scattato il colpo di fulmine, a 13 anni. Seguendo degli amici sono andato a provare con il Lavis e lì un giorno che mancava il portiere mi sono piazzato tra i pali: non mi hanno più fatto uscire. Col tempo mi sono conquistato il posto con la “Beretti” e in un match con l’Albiano ho parato tre rigori. Mi ha visto un osservatore del Mezzocorona e a 17 anni mi sono ritrovato a debuttare in serie D.
Insomma Stefano sei stato a un passo dal professionismo?
Beh diciamo che ero molto lanciato. Quando sono passato all’Alta Vallagarina, sempre in serie D, ero stato contattato dal Padova e dal Cittadella. Poi a 19 una lesione parziale del crociato mi ha messo ko e tutto è sfumato. Però ho realizzato uno dei miei sogni giocare col Trento e sono sicuro che con questa società in 4 o 5 anni potremo toglierci delle grandissime soddisfazioni e magari tornare in serie D. Te invece Marcello professionista lo sei stato eccome. Si, ho fatto anche le mie partite in serie A, ai tempi della Spal. Con me in quella squadra c’era gente come Capello e Reja. Mi ricordo che Fabio era arrivato a Ferrara come “il Rivera del Friuli” però non saltava l’uomo. Era elegante, giocava a testa alta ma gli mancava il dribbling. Io invece ce l’avevo e quindi lui mi faceva la riserva. Poi nel ’63 sono stato ceduto al Monfalcone in serie C. Ho scoperto dopo che dietro c’era il cognato di Capello. Aveva parlato molto bene di me al presidente del Monfalcone, talmente bene da farmi acquistare e così Fabio ha potuto trovare finalmente il suo spazio in prima squadra.
Poi c’è stato il Trento dove hai passato 6 stagioni e hai fatto quel mitico gol a Valdagno che ha significato serie C. Ti ricordi quella giornata?
C’erano 8mila tifosi trentini a Valdagno per assistere allo spareggio col Pordenone. Loro nella prima mezzora ci hanno messo sotto e hanno preso anche una traversa. Poi al 35’ ho preso palla a centrocampo. Ho scambiato con Scocchi e Meneghetti e ho segnato di collo pieno. E nel secondo tempo mi sono procurato il rigore che Babbo ha realizzato per il definitivo 2 a 0.
Stefano quante volte l’hai sentita questa storia?
Qualche migliaio ma la riascolto sempre volentieri. Quando giro con lui in città capita ancora che la gente ci fermi e ringrazi mio padre per quella rete. Adesso però tocca a me e al Trento di oggi far tornare a sognare i tifosi.