famiglie nel pallone

Dalfovo, un altro bomber. Dopo Max ecco Davide

Il figlio del grande pallavolista della Panini Modena è centravanti della Bassa Anaunia: caterve di punti e gol a raffica. Il segreto? «L’onestà in campo e l'attacco "ignorante"»


di Luca Pianesi e Daniele Loss


TRENTO. Uno il pallone si diverte a prenderlo a calci, l’altro ha costruito la sua carriera schiacciandolo a terra a mano aperta. Uno le reti le “gonfia” segnando i gol, l’altro ha sempre cercato di superarle, in battuta o in attacco che fosse. In due cose però si ritrovano perfettamente: la grande attenzione per valori come la correttezza e il rispetto e l’idea che l’attacco deve essere “ignorante”. Davide e Massimo Dalfovo sono figlio e padre. Il primo (classe ’87) è una delle realtà del calcio provinciale: dopo anni trascorsi all’Aquila Trento e un’esperienza in Eccellenza alla Rotaliana, da un anno e mezzo si è accasato alla Bassa Anaunia. L’altro (classe ’57) è uno dei campioni assoluti del volley italiano. Negli anni ’80 ha vinto tutto, ha guidato la futura Trentino Volley fino alla A2 e da ds ha contribuito a costruire la prima Itas Volley di Diego Mosna. Oltre 100 match in Nazionale. Ma ha anche presieduto il Trentino Calcio 1921.

Massimo, quindi non c’è soltanto il volley nella tua vita?

DAVIDE: no, no. Mio padre è un calciofilo assoluto. Conosce praticamente tutti i calciatori regionali. Ma poi segue tutti gli sport e sa tutto. In famiglia lo chiamiamo “l’uomo Gazzetta”.

MASSIMO: è vero. Il calcio mi piace un sacco, è forse il mio sport preferito. Io stesso da giovane ho giocato a calcio prima di darmi al volley. Sono stato nella Rotaliana e nell’Aquila.

E a te Davide piace il volley?

MASSIMO: era un ottimo libero. Lo avevano messo nel mirino diverse buone squadre. Un osservatore una volta è venuto a Trento e mi ha chiesto: “Chi è quel ragazzo?”, “si chiama Dalfovo” gli ho detto io e vedendo che non era un attaccante, scherzando mi ha risposto “allora è da rinnegare”.

DAVIDE: vabbè, diciamo che ero bravino. Ho giocato intorno ai 13 anni per due stagioni nella Trentino Volley mentre contemporaneamente giocavo a calcio. Ero un buon difensore perché mi lanciavo su tutti i palloni con la grinta che mi caratterizza anche adesso. Poi la squadra ha fatto il salto di categoria e quando mi hanno chiesto di scegliere non ho avuto dubbi: il calcio era la mia passione.

Da quando sei bambino, Davide, segni caterve di gol. Non hai mai pensato al professionismo?

DAVIDE: emergere nel calcio è difficilissimo. La competizione è altissima. Io sin da ragazzino sono stato avvicinato da squadre come il Chievo e il Verona ma ho preferito rimanere a Trento.

MASSIMO: quando aveva 6 anni a Davide è stato diagnosticato il diabete mellito. Farlo partire e mandarlo a vivere in un’altra città con questo disturbo da curare con cinque punture al giorno non ci sembrava una buona idea. Per noi l’importante era che facesse sport e si divertisse.

Massimo, consigli Davide quando gioca?

MASSIMO: sono sempre stato attento al suo comportamento. Non sopporto simulazioni, scorrettezze, gesti antisportivi.

DAVIDE: è vero. Addirittura quando ero negli Juniores dell’Aquila e avevo preso il quarto giallo che voleva dire squalifica non avevo il coraggio di dirglielo. Così la domenica della partita ho fatto lo stesso il borsone e sono uscito come se andassi a giocare. Oggi per me questi valori sono fondamentali e anche per questo non mi sono mosso dalla Bassa Anaunia. Avevo molte offerte ma per me la parola data vale più di mille contratti.

Quel che vi accomuna è l’attacco.

DAVIDE: si sono un attaccante ignorante. L’importante è metterla dentro, non importa come. Quando arriva il pallone si calcia e meno si pensa meglio è.

MASSIMO: anche io ero un attaccante ignorante. Il segreto era schiacciare la palla in campo. Metterla giù. Non stare tanto a guardare al tocco o al centimetro. La palla deve cadere a terra in un modo o nell’altro.













Scuola & Ricerca

In primo piano