Aquila Basket, la versione di Trainotti
"Non siamo figli di una vittoria, per costruire ci vuole pazienza"
TRENTO. Il giorno dopo la prima vittoria in Serie A, per Salvatore Trainotti – ma anche per noi – è il momento per guardarsi almeno per un attimo indietro. Stagione 2002/2003, l’ultima in panchina per l’attuale general manager – o “creatore” – dell’attuale Dolomiti Energia Trentino, la prima alla guida della redazione sportiva del Trentino per il vostro cronista. L’Aquila Basket di Gianni Brusinelli prima e Giovanni Zobele poi aveva alle spalle già un bel po’ di storia, ma la cavalcata trionfale, a ben guardare, forse cominciò proprio quando Trainotti passò dall’altra parte della barricata.
Trainotti, se lo ricorda?
Certo. Dodici anni fa mi piaceva fare l’allenatore. Mi sono fermato al termine di quella stagione perché non volevo fare il professionista, essere costretto a girare l’Italia in lungo e in largo, e guardate come sono messo adesso...
Quale sarebbe la sua professione?
Ho una laurea in economia e un master in gestione delle organizzazioni no profit, ho fatto il praticantato da un commercialista, avrei voluto fare il consulente, invece dopo aver lasciato la panchina dell’Aquila ho allenato per qualche mese una squadra giovanile e poi ho cominciato a dare una mano alla società a livello dirigenziale.
L’anno dopo arrivò Buscaglia, come lo trovaste?
Allenava a Mestre in B1, un amico allenatore me ne parlò benissimo. Zobele mi aveva chiesto un nome per la mia sostituzione, io lo incontrai e mi fece subito un’ottima impressione.
Dopo quattro stagioni, però, divorziaste.
Si era chiuso un ciclo.
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Tre anni dopo, un po’ a sospresa, il matrimonio fu nuovamente celebrato.
Fu una scelta tutta mia, dopo la parentesi Esposito ero convinto che Maurizio fosse la persona giusta per avviare un nuovo progetto tecnico. Il rapporto tra di noi andava molto al di là di quello tra dirigente e allenatore e non si era mai interrotto. Da allora i suoi contratti non sono mai andati a scadenza, anche per un discorso di progettualità: quando costruisci qualcosa, la pazienza è la cosa più importante. I nostri traguardi non sono figli di una vittoria o di una sconfitta.
E nel frattempo lei era diventato general manager a tempo pieno...
Questa è l’ottava stagione. A tempo pieno, e il tempo non basta mai, perché seguo sia la parte economica che quella sportiva ed è un po’ un’anomalia. Sono costretto a tenermi informato su tutto, lavoro 7 giorni su 7, 16 ore al giorno. Ma mi rendo conto che a questo mondo ci sono professioni sicuramente più faticose.
Com’è il mercato del basket? Come ha imparato a muoversi tra agenti e scout?
Noi abbiamo creato innanzitutto un gruppo di ragazzi giovani, che abbiamo arricchito ogni anno. Con gli americani ci vuole tanta fortuna, ma bisogna soprattutto guardarli e creare un network di relazioni. Per questo negli ultimi tre anni sono stato tre volte l’anno negli Stati Uniti, potendo contare sulla collaborazione di un allenatore e di un vice, Cavazzana, che sono degli ottimi osservatori.
Il colpo della sua vita? Pascolo? Mitchell?
Io apprezzo molto di più l’assieme che sono riuscito a creare che il singolo colpo di mercato. Non credo che i successi di una squadra possano dipendere da un solo giocatore, ad esempio Mitchell, che in questo momento ha gli occhi di tutti addosso: se non fosse inserito in una squadra non potrebbe fare i numeri per i quali sta diventando famoso. Io credo nella chimica, nella cultura aziendale.
Tornando al 2003, avrebbe mai immaginato che la “sua” Aquila avrebbe battuto Cantù?
È stata una gran bella partita, tra i tifosi c’è entusiasmo, noi abbiamo guadagnato in fiducia, ma adesso siamo dentro il campionato: dobbiamo tornare in campo e tenere i piedi per terra.
La prossima vittoria arriverà già a Brindisi?
Il mio grande amico Alessandro Giuliani ha costruito una squadra molto forte. Ma, come a Milano, andremo a Brindisi per giocarcela, fino in fondo.
Twitter: @mauridigiangiac