Zeni e Borgonovo Re verso il dietrofront
Uniti nella protesta contro i vertici del Pd: possibile scheda bianca su Olivi Schelfi candidato, la freddezza di Pinter e Panizza: nome non condiviso
TRENTO. Potrebbero essere solo due, e non più tre, i nomi tra i quali lunedì prossimo l’assemblea del Pd si troverà a dover scegliere il proprio candidato per le primarie di coalizione. Ma potrebbe anche restare in campo il solo Alessandro Olivi. Di fronte al vantaggio di cui sembra già godere l’assessore provinciale, infatti, uno dei due tra il capogruppo in Consiglio Luca Zeni o la giurista Donata Borgonovo Re sembra a un passo dal dietrofront in extremis. Ma attenzione: si tratterebbe di una mossa concordata tra gli stessi due potenziali candidati. Che potrebbe anche sortire una decisione ancora più clamorosa: il ritiro di entrambi, con l’indicazione ai propri supporter di votare scheda bianca in segno di protesta per come il partito ha gestito la vicenda. Stamane si incontreranno, per decidere il da farsi, dopo che ieri sera Zeni ha incontrato i militanti più vicini per valutare la situazione. Oggi pomeriggio Zeni e Borgonovo Re terranno una conferenza stampa congiunta, alla luce di che cosa si saranno detti in mattinata. L’appuntamento è alle 16, due ore prima della scadenza dei termini per la presentazione delle candidature.
L’ipotesi di un passo indietro di uno dei due, ovviamente per favorire l’altro, si basa su ragioni evidenti: all’interno dell’assemblea del Pd la parte che sostiene chi propugna la discontinuità rispetto alle giunte Dellai (e Pacher che ne ha preso il posto) nella migliore delle ipotesi può arrivare a costituire la metà dei votanti. Una fetta sufficiente per contendere a Olivi la candidatura, ma che non lo è invece se dovesse dividersi tra due concorrenti. Di qui la possibile decisione di convogliare le forze su un solo nome. Su quale dei due, è difficile fare previsioni: entrambi infatti, nelle ultime settimane Zeni e ancora prima la Borgonovo Re, hanno lanciato la propria candidatura con notevole dispendio di energie, il consigliere provinciale mettendo in moto la macchina di “Start!” e la giurista ritagliandosi un profilo particolarmente spiccato sotto il profilo dell’identità e del progetto politico, tra l’altro puntando molto anche sulla questione di genere. E proprio sulla base di queste considerazioni sembra più probabile il ritiro di entrambi. Comunque vada a finire, insomma, tutto lascia prevedere che lunedì prossimo, in casa Pd, si assisterà all’ennesimo psicodramma. E all’ennesima spaccatura.
Non scalda invece i cuori la possibile discesa in campo di Diego Schelfi come candidato presidente della Provincia. Di fronte all’uomo della Cooperazione, al quale secondo molti si starebbe pensando in casa Upt per sparigliare i giochi sul tavolo ormai quasi apparecchiato delle primarie, le reazioni ufficiali delle altre forze della coalizione del centrosinistra autonomista non vanno più in là di una tiepida presa d’atto. Partendo comunque dal presupposto che, finora, siamo ben lontani dall’ufficializzazione della proposta. Benché nelle scorse settimane il nome del presidente della Federazione sia più volte risuonato, negli incontri dei vertici dei partiti. Ma, appunto, senza incontrare il favore necessario per far sì che Schelfi possa diventare il candidato unitario dell’alleanza che regge la guida di Piazza Dante. Ed è una situazione che in questi giorni non è affatto cambiata. Anzi, lo spazio sembra essersi fatto ancora più stretto: non tanto per la posizione del Patt, irremovibile sulle primarie di coalizione con un candidato per partito, quanto piuttosto per il percorso finalmente avviato dal Pd relativo alla scelta del proprio “front-man” da presentare agli elettori delle primarie. Il tutto mentre l’orologio continua a correre, stringendo ulteriormente gli spazi possibili per chi è in cerca di altre soluzioni. Come appunto l’Upt, per la quale la strada maestra resta proprio quella dell’individuazione di un nome che vada bene a tutti. Per ragioni già espresse e che il capogruppo in Consiglio provinciale Giorgio Lunelli ribadisce ancora una volta: «Quello delle primarie è un meccanismo che rischia di diventare perverso e che per noi resta una subordinata rispetto a un percorso in grado di rafforzare maggiormente la coalizione, che noi ci ostiniamo a cercare». Tutto questo, comunque, «con l’attenzione a non essere fagocitati dal turbinio dei nomi, che vedo già in corso». Come dire insomma che la ricerca del nome giusto è destinata a proseguire fino all’ultimo momento disponibile.
La freddezza del Pd è bene illustrata dal presidente Roberto Pinter. Che spiega come «tra il far circolare un nome e porlo ufficialmente al tavolo della coalizione, attraverso una proposta formale, c’è una bella differenza». Il che non toglie che, se Schelfi decidesse davvero di essere della partita, la questione andrebbe debitamente affrontata. «Certo, ne discuteremo», concede Pinter. Che però subito aggiunge: «Mi sembra comunque difficile che si superino le condizioni create finora: tutti lavoriamo per un’intesa, nulla in contrario a una candidatura unitaria, ma quello di Schelfi è tutto fuorché un nome nuovo. Ed è già stato preso in esame». Con esiti evidentemente non positivi da parte del Pd. Che da parte sua ha avviato un percorso preciso che cozza contro l’ipotesi di un azzeramento delle primarie. «Restiamo disponibili a discutere con gli alleati anche fino al giorno prima dell’indizione delle primarie - conclude Pinter - ma il nome di Schelfi non cambia la situazione». Nulla cambia ovviamente anche per il Patt, il cui segretario Franco Panizza spende parole di elogio per il presidente della Cooperazione («un nome di grande peso e grande autorevolezza»). Un candidato però possibile, afferma il senatore delle Stelle alpine, solo a patto di sottoporsi alle primarie. Perché anche Panizza conferma come il nome di Schelfi, fortemente sostenuto dall’ex governatore Lorenzo Dellai, al tavolo della coalizione sia già stato proposto come possibile candidato unitario bypassando le primarie, ma senza trovare il consenso necessario.
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