Padre Alex, appello per i profughi

Folla ad ascoltare il sacerdote: «Asilo umanitario ai perseguitati libici»


Camilla Giovannini


TRENTO. «Siete qui nonostante i vostri impegni, nonostante questi siano giorni di festa. La vostra sensibilità mi porta a nutrire la speranza che le cose possano cambiare». In questo modo padre Alex Zanotelli ha salutato il pubblico che affollava ieri sera la sala della Circoscrizione San Giuseppe. Il sacerdote è tornato in Trentino per appoggiare l'appello promosso dal Progetto Melting Pot.

Un appello perché ai richiedenti asilo che si vedono bocciare la domanda venga concesso un permesso di soggiorno umanitario. «Bisogna fare pressione sul governo», ha invitato padre Alex. «L'esecutivo è nuovo, le leggi vecchie. Più province, più sindaci aderiscono all'appello più forza avremo. L'era degli Stati è finita, la vera democrazia si eserciterà sempre di più dal basso, dalle piccole comunità».

In Libia moltissima gente proveniente dall'Africa subsahariana, specialmente dal Corno d'Africa e dal Sudan, ha trovato lavoro. Lì si è costruita difficilmente una vita, quel Paese era diventato la loro casa, nonostante vi imperversi un feroce razzismo che porta, tra l'altro, ad usare il termine arabo "schiavo" per indicare le persone di pelle nera.

La guerra condotta negli ultimi mesi, «profondamente ingiusta ed imperiale, dettata da motivi economici», basti pensare che il petrolio libico è il migliore al mondo, praticamente già benzina, ha fatto precipitare la situazione. I richiedenti asilo ospitati in base al Piano di accoglienza, in Provincia 211, in Italia 25.000, si trovano nella situazione di non poterlo ottenere, perché le commissioni chiamate a giudicare valutano solo le possibili persecuzioni che questi subirebbero nel Paese natale, quando invece è dalla Libia che sono fuggiti. «Nella nostra Costituzione il diritto d'asilo è nominato ben due volte», ricorda padre Alex, «perché la nostra legge fondamentale è stata scritta da dei profughi, rientrati in Italia dopo la caduta del fascismo». «Ormai della questione libica ci si interessa esclusivamente in chiave economica, in base agli interessi dell'Eni. Se vogliamo progredire come Paese civile dobbiamo cambiare».

Ha poi ammonito: «Viviamo in un unico mondo, serve un salto di qualità. E' possibile che si parli di sviluppo e mai di ambiente? Gli studiosi ci danno ancora 50 anni per salvarci: il pianeta non ci sopporta più. Serve una rivoluzione culturale altrimenti ci sbraneremo gli uni gli altri in un pianeta al collasso».

La soluzione? «Dobbiamo essere consapevoli del fatto che condividiamo le stesse risorse e a ciascun uomo e a ciascuna donna vanno garantiti i mezzi per sentirsi pienamente esseri umani». Perché, come ha spiegato Aron, un ragazzo di origine senegalese fuggito dalla Libia e ora ospitato in Trentino, «le relazioni umane non devono basarsi sui soldi: le persone hanno una dignità che ha un valore più grande di quello economico».













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