«Mi ribellai al soldato tedesco così diventai un partigiano»  

La storia. Rodolfo Bragagna, nome di battaglia “Il solitario”, oggi ha 93 e vive in casa di riposo a Mezzocorona. Protagonista di tante azioni di sabotaggio, tagliava i fili del telefono tra Roma e Berlino e spargeva chiodi sulla strada: «Rifarei tutto se necessario» 


Paolo Piffer


Trento. Era ancora un ragazzo. E già lavorava come manovratore allo scalo ferroviario di Trento. Raggiungeva ogni giorno il capoluogo in bicicletta partendo da San Michele all’Adige, il paese dove era nato e viveva. Quella mattina Rodolfo Bragagna si trovò di fronte un ufficiale tedesco. Cosa gli chiedesse non lo sa neanche adesso, alla soglia dei 93 anni, perché la lingua di Goethe non la conosce.

La ribellione

Fu in quel momento, nel giro di qualche attimo, che il destino del ragazzo di San Michele prese una piega precisa, ribaltando, a favore della vita, un segnale di morte. Perché il tedesco aveva già tirato fuori la pistola per farla finita con quell’impudente che non rispondeva alle sue richieste. Fu il caposquadra di Bragagna che intervenne e fece desistere dal proposito il graduato. E fu in quell’attimo che il ragazzo della Rotaliana decise che sarebbe diventato partigiano.

“Una forma di ribellione ad un sopruso”, ricorda oggi “Il solitario”, nome di battaglia affibbiatogli combattendo nel distaccamento trentino della Brigata Gramsci, dalla val di Cembra alla Piana Rotaliana e il cui mentore è stato il compaesano Ferdinando Tonon, comandanti Riccardo Endrizzi “Pedro” e Giovanni Parolari (il Commissario “Pedrin”). Il che fa perlomeno intuire e dedurre quanto essere partigiano, lungo quei quasi due anni che vanno dall’armistizio del ’43 alla Liberazione nel 1945, contro i tedeschi invasori e la dittatura fascista morente, rispondeva a motivazioni le più diverse, complesse, variegate, non solo squisitamente e strettamente politiche ma che riguardavano, anche, il vissuto quotidiano. Come, d’altra parte, viene messo in luce da diverse ricerche sulla Resistenza trentina che negli ultimi anni Sandro Schmid, ex presidente dell’Anpi (l’associazione dei partigiani), ha scritto. “E comunque – sottolinea Bragagna, che oggi vive nella casa di riposo di Mezzocorona – sono di formazione cattolica sì, ma sono pure comunista, sto dalla parte degli operai”.

Non ha dormito probabilmente un granché “il solitario”. Lo troviamo assopito. Durante la notte ha raccolto i pensieri, li ha messi uno in fila all’altro. Quell’esperienza ha segnato la sua vita, gli ha dato una direzione, ne ha impresso lo spirito. “Il solitario” perché diverse delle sue azioni avevano per lui l’unico protagonista, poteva passare inosservato, con quella faccia da adolescente.

Le azioni di sabotaggio

Sulla strada nazionale del Brennero, a quella che era chiamata la curva “del Sevignani”, vicino a Lavis, sparse quintali di chiodi a quattro punte, che arrivavano dallo stabilimento “Caproni” di Trento nord, mettendo a tacere decine di macchine e camion tedeschi. Agile com’era, armato di una forbice per potare, tagliava i fili del telefono che collegavano Roma con Berlino. “Sì, certo – riflette Bragagna – azioni di sabotaggio. Rifarei tutto, ce ne fosse la necessità”. Nel dopoguerra Rodolfo Bragagna tornò a fare il manovratore, poi lavorò alla Samatec e quindi a Bolzano. Sposatosi nel 1956, ha avuto tre figli. E’ sempre stato un tipo riservato, come sottolinea il giornalista e scrittore Audienzo Tiengo in una pubblicazione di qualche tempo fa. Poi, dopo anni, ha deciso di raccontare: “Ero spesso un solitario per esigenze tattiche. Sono fiero, e tanto, di quelle azioni”.













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