Ladinità, quante forzature
Il direttore dell’Istituto «Cesa de Jan» però difende il referendum
CORTINA. Tutto è nato qui, a Cortina. Poi è successo quello che è successo, con il risultato che la strada del referendum per la riunificazione con l'Alto Adige si sta - per ora - rivelando un percorso in discesa, facile facile, con Livinallongo e Colle Santa Lucia convintamente allineate sulle posizioni ampezzane. Ma i problemi arriveranno dopo, e i promotori della consultazione referendaria lo sanno benissimo. Nel nostro viaggio tra le valli ladine delle province di Belluno, Bolzano e Trento, è emerso infatti un primo, importante elemento e cioè che - a parte i soggetti istituzionali che gravitano intorno al mondo delle Unioni ladine, obbligati in qualche modo ad un atteggiamento solidale nei confronti delle richieste di Fodom e Ampezzano - in Alto Adige sembra prevalere un atteggiamento di sostanziale freddezza o indifferenza rispetto all'ipotesi di riportare sotto il tetto comune della Regione Trentino-Alto Adige i ladini dolomitici. Ne abbiamo dato conto diffusamente ieri nella prima puntata di questo viaggio tra le valli ladine a caccia di identità. Identità, appunto. Questo è lo scoglio principale contro cui vanno a sbattere le ambizioni cortinesi. Dicono gli altoatesini: «Non prendiamoci in giro. Per gli ampezzani il ladino di fatto è un lingua straniera, al pari dell'inglese o del tedesco. E senza lingua non esiste ladinità». Gardenesi e badioti sono insomma scettici circa la legittimità delle richieste dei tre comuni bellunesi sulla base di una comune appartenenza ladina dolomitica. Sotto tiro in particolare ci sono gli ampezzani, mentre alle richieste del Fodom si attribuisce maggiore fondatezza linguistica e, di conseguenza, maggiore credito. Se il ladino badiota vale cento - si dice sempre in Alto Adige - il gardenese vale 70, il fodom e il fassano 50, e l'ampezzano 20.
Cioè quasi nulla. Si badi bene, però. Nessuno è immune dalla tentazione di dare pagelle e distribuire patenti di legittimità. Neppure i ladini del Fodom e dell'Ampezzo, che a loro volta si sono distaccati dall'Istituto culturale ladino della Provincia di Belluno - che raccoglie 39 comuni di Cadore, Comelico, Agordino e Zoldano - per dare vita ad un proprio Istituto culturale ladino, il «Cesa de Jan». Una scelta di dissidenza che equivale ad una delegittimazione della casa madre, se così vogliamo chiamarla, unita ad una rivendicazione di specialità rispetto agli altri comuni dell'Alto Bellunese. Chiaro comunque che, entrando in questa logica, si deve accettare anche di subire il giudizio altrui. Di tutto questo abbiamo abbiamo parlato con Stefano Lorenzi, direttore dell'Istituto Culturale ladino «Cesa de Jan» di Cortina.
Dottor Lorenzi, gli altoatesini quando sentono parlare di ladinità dell'Ampezzano, storcono il naso. Insomma, dicono che di ladino, almeno qui a Cortina, avete ben poco. Troppo cadorini ormai. O meglio, troppo veneti.
«Dal punto di vista strettamente linguistico hanno ragione. È vero. C'è un gradiente di diluizione della parlata dolomitica, un gradiente che va da nord a sud. E noi siamo a sud. Ma non sono d'accordo nel confinare la ladinità dentro i parametri della purezza linguistica. Non mi pare abbia molto senso. E comunque decidere cosa sia ladino e cosa non lo sia, impostando il discorso in questo modo, rischia di tradursi in un mero esercizio di stile».
Gardenesi e badioti invece vedrebbero di buon occhio il Fodom. Secondo lei questa differenza di giudizio è giustificata?
«È comprensibile. Il Fodom è la cerniera tra il bellunese e le vallate ladine dell'Alto Adige, e dunque la percezione che, in particolare i badioti, hanno dei vicini di Arabba e Livinallongo è viziata da un pregiudizio, in questo caso positivo, di vicinato».
Che lei non non condivide.
«Ho detto che lo capisco, ma è un fattore umano non culturale o storico. Quello che conta sono i rapporti storici consolidati tra le vallate dolomitiche delle tre province, e nessuno può dire che non siano radicati e profondi. Che poi gli ampezzani abbiano allacciato rapporti stretti anche con i vicini del Cadore e dell'Agordino questo sta nella logica della geografia».
Se un badiota in trasferta a Cortina si mette a parlare ladino, non lo capisce nessuno.
«È vero. Ma neanche loro non capiscono noi quando parliamo l'Ampezzano».
E allora come la mettiamo?
«Personalmente non credo ad un'origine comune del ladino dolomitico. Credo che da un'area discretamente omogenea si siani sviluppate parlate diverse riconducibili ad un'unica famiglia linguistica. Tutto qui. Per questo certe graduatorie non hanno molto senso».
Non crede sia stato un errore infilarsi nella nebulosa questione ladina per rivendicare semplicemente, in fondo, maggiore risorse e il diritto all'autogoverno del proprio territorio?
«Forse sì. Forse è stato davvero un errore, perchè tutto questo per molti versi ha davvero poco a che fare con la questione ladina. È stato un modo per porre un problema altrimenti irrisolvibile. Ed era necessario farlo in questo modo se l'obiettivo è e resta quello di arrivare ad un'entità amministrativa autonoma. Che noi vorremmo interdolomitica, prendendo comunque atto che, almeno al momento, Badia e Gardena non ne hanno voglia. Del resto abbiamo storie diverse alle spalle, come diverse sono tra loro anche le storie di Ampezzo e Fodom».
In che senso?
«Il Fodom è una terra di emigrazione, l'Ampezzano di immigrazione. Cortina è sempre stata un crocevia di culture diverse, molto più esposta alle influenze che venivano da nord e da sud. Discorso che non vale per il Fodom, molto più isolato e culturalmente compatto. In definitiva la percezione che hanno di noi i badioti è corretta. Inutile nascodersi dietro a un dito: gli ampezzani a Cortina oggi sono una minoranza. Diciamo intorno al 40-45% della popolazione residente».
Ma gli ampezzani che percezione hanno di se stessi? Si sentono ladini?
«Si sentono soprattutto ampezzani, direi. Ce ne accorgiamo anche noi come ”Cesa de Jan”. Se organizziamo qualche iniziativa come ladini abbiamo decisamente meno seguito che se organizziamo qualcosa come ampezzani».
Quanto è utilizzato l'idioma ampezzano?
«Poco. A scuola fino agli anni Ottanta era di fatto proibito parlarlo. Oggi teoricamente, grazie alla legge 482 del 1999 a tutela delle minoranze linguistiche, non dovrebbe essere così. Ma di fatto l'applicazione della normativa resta difficilissima. Come istituto stiamo provando a fare qualcosa, ad invertire la tendenza, ma è dura. Non si può imporre nulla, servirebbero una volontà politica forte e una sensibilità diffusa in questo senso. Due condizioni che al momento non ci sono».
Di quanti finanziamenti gode il «Cesa de Jan»? In Alto Adige e in Trentino i due istituti culturali hanno budget che toccano il mezzo milione di euro l'anno.
«Come fondi diretti possiamo contare su 20 mila euro. Il resto sono finanziamenti a progetto attingendo a fondi della legge 482. In totale arriviamo a circa centomila euro, in rapido calo. Già quest'anno siamo a due terzi della disponibilità dello scorso anno».
Pensa che le cose cambierebbero passando in Alto Adige?
«Credo proprio di sì. In Trentino-Alto Adige c'è maggiore tutela della popolazione residente. Non è questione di cattiva volontà degli amministratori veneti, è proprio una questione di strumenti legislativi e di garanzie costituzionali».
Ma lei crede che ampezzani e fodomi si rendano conto davvero di che cosa significa passare con l'Alto Adige? Non è mica soltanto miele. Sanno che esiste il bilinguismo obbligatorio nel pubblico impiego, la proporzionale etnica e via dicendo?
«Credo proprio di no. Credo che sperino in una deroga o in qualche forma di introduzione graduale degli obblighi sul bilinguismo».
Lei ha detto che appena il 40% dei cortinesi sono davvero ampezzani. Quanti di questi parlano la lingua locale?
«Diciamo un 70-80%, ma con un sbalzo generazionale gigantesco. Sto finendo proprio in questi giorni di elaborare i dati di una ricerca che abbiamo condotto nelle scuole elementari. A essere ottimisti, i bambini che parlano ampezzano saranno il 10% del totale, non di più. In pratica siamo l'ultima generazione che può fare qualcosa per tentare di salvare la nostra parlata».
E poi?
«Poi la questione ladina si risolverà da sé».