La ricetta Usa: il lavoro garantito a tutti 

Oltre il reddito di cittadinanza, il progetto presentato ieri dall’economista Larry Randall


di Paolo Peterlongo


TRENTO. Oltre il reddito di cittadinanza, c'è la “Job Guarantee”, ovvero la “Garanzia del Lavoro”, con lo Stato "datore di lavoro" che conferisce un'occupazione "sociale" a chiunque resti disoccupato, corrispondendo una paga al "minimo di legge". Arriva dagli Stati Uniti l'ambiziosa proposta politica che fa impallidire i tentativi di “assegno pubblico” avanzati in Italia, da ultimo il “reddito da cittadinanza” targato 5 Stelle. Elaborato da un gruppo di economisti e sociologi progressisti, questo programma titanico è stato fatto proprio da numerosi candidati democratici alla Casa Bianca. Tra loro il “dem” di fede socialista Bernie Sanders. Ne ha parlato presso la facoltà di Economia l'economista Wray Larry Randall, professore di “Economics” al Bard College di New York. L'obiettivo è quello di creare la “piena occupazione” e al contempo costringere il settore privato, pressato da questa "concorrenza pubblica", a migliorare le sue offerte in termini di paga e assistenza al lavoratore. Se Randall ipotizza che questo piano mastodontico possa realizzarsi concretamente negli Stati Uniti sotto l'egida del governo federale, ha qualche dubbio sulla sua fattibilità in Italia: «Avete rinunciato alla sovranità monetaria, rendendo così impossibili piani ambiziosi che possano richiedere l'emissione di nuova moneta. Tuttavia si può pensare ad un programma simile sovvenzionato dalla Banca Centrale Europea». Randall ha stigmatizzato la domanda che gli viene fatta più di frequente: da dove si prendono i soldi per un intervento colossale? «È una domanda stupida: lo Stato può attingere per l'interesse pubblico a fondi molto grandi. Sono quelli che hanno permesso la crescita sociale, la costruzione di autostrade e infrastrutture costosissime». È proprio questo il punto critico individuato dagli interlocutori di Randall presenti al convegno. Il professor Daniele Checchi, economista all'Università di Milano, ha sollevato il problema della sostenibilità economica: «Il progetto è condivisibile nelle sue finalità, ma prevede un +15% della spesa pubblica in dieci anni, generando un grande debito che dovrebbe essere ripagato dalle nuove generazioni». Checchi vede anche le potenzialità del tema: «Torna a mettere al centro il paradigma della “piena occupazione”, di cui non si parla più da decenni, come se avere grandi masse di persone senza lavoro sia inevitabile. Mi piace poi il fatto che questa proposta concentrerebbe gran parte delle risorse nelle zone meno sviluppate: farebbe molto bene anche all'Italia». Stefano Sacchi, presidente dell'Istituto Nazionale Analisi Politiche Pubbliche, ha sottolineato come un simile piano soffocherebbe il mercato privato: «A quello della “piena occupazione”, noi preferiamo il paradigma dell’”impiegabilità” sul mercato privato. Anche perché il sistema del “Job Guarantee” sottovaluta la massa di persone che per tanti motivi non possono lavorare e che dovrebbero comunque avvalersi di un “welfare”, che peserebbe sulle tasche di chi lavorando paga le tasse».















Scuola & Ricerca

In primo piano