il ritratto

L'ultima battaglia di Milordo

Scendeva dal trattore e riceveva i cittadini all’alba, sulle orme di Durnwalder. Sui vitalizi era vicino ai cittadini. Non ascoltato da molti amici, anche del Patt


di ALBERTO FAUSTINI


TRENTO. È morto come aveva vissuto: da combattente. Nei suoi boschi e in politica. Fra gli alpini e nel volontariato. È morto nella sua terra, nei luoghi che amava: cacciando in val dei Mocheni.
Diego Moltrer, a ben guardare, non era di Fierozzo: era Fierozzo. Era infatti il suo paese, era la sua comunità. Ed era un pezzo importante di una famiglia importante, insieme alla moglie, ai tre figli, alla sorella, alla madre e al mitico padre, sindaco-simbolo che ha lasciato un segno nella valle e che gli ha passato il testimone, l’importante e profonda eredità politica e anche il soprannome: Milordo (Milordino, in verità, finché il papà era in vita). Parola che entrambi amavano molto e che si può leggere in mille modi. Parola, ancora, che dice da sola che i Moltrer, in val dei Mocheni, avevano inventato i “cittadini”, nella fiera declinazione di valligiani, ben prima che se li “inventasse” Grillo. Perché Milordo era uno del popolo, uno come gli altri. Un ragazzone sensibile, ma pronto a trasformarsi in leone per vincere una battaglia.
Il suo incredibile successo, alle ultime elezioni provinciali, stupì molti. Ma non Diego e non chi lo conosceva bene: ad ognuno di quei quasi cinquemila voti, lui, molto probabilmente, poteva infatti attribuire un nome e un volto. Perché la politica, per Moltrer, era davvero un servizio. Al punto che gli stava quasi stretto il ruolo istituzionale.
Intendiamoci: teneva molto alla carica di sindaco, di assessore del Comprensorio, di primo presidente della Comunità di valle e poi di presidente del consiglio regionale. Era determinato e ambizioso. Ma i protocolli e i riti gli andavano stretti. Come le cravatte, che cercava di evitare, e come una certa politica davvero “cittadina”, alla quale ha fatto fatica ad abituarsi.

Preferiva le giacche di lana cotta e i giubbotti di camoscio, Diego Moltrer. E, anziché partecipare a certe liturgie di un potere che pure lo affascinava, preferiva incontrare la gente: non a Palazzo, possibilmente. Ma in luoghi per così dire normali, meglio se nella sua zona. Arrivato alla guida della Comunità di valle, proprio per segnare questo desiderio di aprire le segrete stanze ai cittadini, Milordo cercò infatti di emulare il presidente altoatesino Luis Durnwalder: amava infatti ricevere i cittadini all’alba, dopo aver magari “cavalcato” il suo trattore o una ruspa (per liberare una strada della sua valle) o dopo essere stato nei boschi.


Dava del tu a tutti. E riusciva a costruire rapporti umani con ognuno. Fieramente mocheno e fieramente autonomista, artigiano che amava l’idea d’essersi costruito da solo, faticava a capire il politichese, anche se ne conosceva assai bene le regole. Amava fare. E anche per questo avrebbe preferito un bel posto operativo in giunta all’alta carica di presidente del Consiglio regionale. Puntava ai lavori pubblici, concreti per antonomasia. Ma dopo qualche mugugno e dopo essersi messo di traverso - proprio come quando qualcuno osava non ascoltare le ragioni dei mocheni - accettò di entrare nell’altro Palazzo di piazza Dante, quello degli uffici della Regione: capo dell’assemblea legislativa. E dunque anche “guida” dei consiglieri della Svp, che sentiva particolarmente vicini alla sua idea di autonomia, alla sua idea di fiera e orgogliosa minoranza.
Troppo facile, ora, ipotizzare che il suo cuore, nell’ultima, tragica battuta di caccia, non abbia retto anche per colpa del dolore della vicenda dei vitalizi.


Ma è normale pensare che questo peso l’accompagnasse anche nei suoi amati boschi, anche in giornate all’apparenza spensierate, anche negli spazi intimi e speciali dedicati alla famiglia. Perché era un pensiero fisso e un cruccio, quello dei politici che guadagnano davvero troppo rispetto ai cittadini che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. E perché questa vicenda l’aveva segnato molto: s’è infatti ritrovato fra le mani la bomba ad orologeria dei vitalizi e delle liquidazioni d’oro appena arrivato a Palazzo. Con giornalisti che arrivavano a Trento e a Bolzano da ogni dove per metterlo in difficoltà e per chiedergli cose che lui, appena entrato in consiglio regionale, non poteva conoscere e nemmeno immaginare. Pensava di uscirne in fretta, potendo contare sulla collaborazione dei tanti “colleghi” - fra virgolette, perché lui, a torto o a ragione, si sentiva diverso da molti di loro - che certamente avrebbero capito la situazione. Ma molti dei suoi compagni di viaggio del presente e del passato, anche amici del suo partito autonomista, non hanno nemmeno fatto finta di capire: hanno preferito sintonizzarsi sull’onda di frequenza dei loro conti correnti piuttosto che su quella di quei tanti cittadini ai quali Diego non sapeva più dare una risposta. Lui, in questa fase complicata, puntava sulla sobrietà e sulla trasparenza: anche a costo di apparire ingenuo o incapace di districarsi fra le mille scartoffie prodotte dagli uffici o da qualche collega più esperto o forse solo più furbo. Molti degli altri consiglieri coltivavano - e lui non riusciva a capacitarsene - un disegno ben diverso. E speravano, per non dover restituire nulla, solo che passasse la buriana, che a loro avviso lui rischiava di alimentare con certi atteggiamenti eccessivamente disponibili. Per fortuna, molti consiglieri hanno invece capito il suo disagio (e la rabbia crescente dei cittadini) e hanno restituito il malloppo.
Morendo a 47 anni, lascia tanti progetti incompleti, Diego Moltrer. Lascia una passione politica e umana difficile da ritrovare. Lascia una tenacia e una generosità che emerge in tante delle dichiarazioni rilasciate ieri da chi l’ha amato o anche semplicemente incrociato. Lascia tanti elettori che avevano creduto in lui, a cominciare da chi, nella sua famiglia, l’ha sempre sostenuto con amore e passione.
A mancare alla politica locale, più di ogni altra cosa, sarà la sua umanità, quel suo modo di riempire le stanze - non solo per ragioni di stazza - appena vi metteva piede. E quel suo essere il sindacalista dei cittadini. Anzi: dei valligiani. A cominciare dai mocheni.


 













Scuola & Ricerca

In primo piano