Fiavè tiene fuori il virus: «Guardia sempre alta»
Il record. Il contagio non ha fatto capolino sul territorio comunale forse per la disciplina mantenuta dai residenti che hanno imparato a difendersi anche senza mascherine
Fiavé. Da un mese e mezzo dal primo caso italiano il piccolo comune di Fiavé resiste sulle barricate dei comuni “coronafree”, insieme a Pelugo nelle Giudicarie e a pochissimi altri comuni trentini. Un record invidiabile, impensabile forse all’inizio quando i casi dic ontagio si diffondevano a macchia d’olio coinvolgendo centri grossi, ma anche quelli piccoli che non sono stati esenti da malattie e anche da lutti. Fiavè, invece, resiste e tiene fuori dai confini il temibile ospite.
Evidentemente nella lotta contro il coronavirus il “modello Corea”, che ha consentito ad un paese popolato quasi quanto l’Italia, di vincere la sua battaglia in meno di un mese, non è facilmente adottabile dai paesi occidentali. L’Italia sta guardando al modello Corea, che significa più test, più mascherine, più disciplina e più tracciabilità dei contatti. Ma questo è un discorso più ampio e di sistema, poi a ognuno tocca la sua parte.
Nel frattempo il comune di Fiavé, coronafree dopo 45 giorni dal primo caso nel lombardo-veneto, caso unico in Giudicarie con il distante Pelugo, fortunatamente non ha ancora avuto casi di contagio.
Toccando ferro, che cosa può fare un territorio così piccolo circondato da tutti i lati da comuni dove è presente il contagio?
Un affezionato lettore, Valentino Zambotti, si è posta la domanda.
«Che non debba abbassare la guardia o fare imprudenze è del tutto ovvio. In realtà dovrebbe fare di più: sfruttare il vantaggio temporale che ha, guardando diligentemente al modello Corea. Non con il numero di test o con la tracciabilità, che per ovvi motivi non dipendono da noi, ma con mascherine e disciplina».
Continua l'analisi di Zambotti: «Non so se avete notato ma, dopo più di un mese dall’inizio dei contagi, esperti, pseudo-esperti, giornalisti e passaparola non insistono più tanto sulla presunta inutilità delle mascherine. Che strano! Ci dicevano che le mascherine servivano solo per le persone con sintomi e per il personale sanitario che veniva a contatto con gli infetti. Eppure notavamo ogni giorno che in Cina e in Corea tutti le indossavano. Qualcuno poi cominciò a pensare che se il virus, oltre alla barriera della mascherina indossata dalla persona infetta, avesse incontrato anche la barriera della persona non infetta, forse avrebbe avuto meno probabilità di contagiare.
E qualcuno cominciò timidamente ma caparbiamente ad indossarle. Nel frattempo alcuni si permettevano di sospettare che forse l’insistenza nel dire che non servivano era solo una pietosa bugia per non dire che di mascherine non ce n’erano. E non ce ne sono purtroppo!»
L'appello finale va nella direzione della dotazione anti-virus: «E allora non scoraggiamo chi, piuttosto di niente, si ingegna a confezionarsi alla meglio una mascherina, o chi in mancanza d’altro usa uno scalda-collo o una sciarpa. Almeno concedeteci il beneficio del dubbio e lasciateci dire che una qualche protezione, anche senza marchio CE, forse è meglio di niente, a meno che non riusciate a convincerci del contrario».