FESTIVAL ECONOMIARodrik: Ue, più leadership per salvare la Grecia
La pragmatica lezione di Dani Rodrik: «Il futuro ci riserva instabilità e crisi, dovremo governarli». Gli stati frenano la globalizzazione. Ma l'Europa può essere l'eccezione
TRENTO. «Mi attendo un atto di illuminata leadership da parte dell'Europa: una spinta verso una maggior integrazione. E' la strada per evitare l'uscita della Grecia.» Con questa nota ottimistica Dani Rodrik ha concluso la sua lezione sul «Futuro della globalizzazione», proprio lui che aveva messo le mani avanti dicendo che «fare previsioni è un lavoro da astrologi, non da economisti.»
Realistica e prudente, la visione che Rodrik, docente a Harvard, autore di un numero sterminato di pubblicazioni - parole di Tito Boeri - si discosta dall'ortodossia. Perché rifiuta l'approccio ideologico, perché bada ai fatti, perché prende atto che se è vero che il mondo assomiglia sempre più ad un grande mercato, è altrettanto vero che le nuove potenze non rinunciano alla loro sovranità ed alle loro regole. E' l'atteggiamento di chi, per dirla alla cinese, «tiene la finestra aperta, ma mette la zanzariera» contro ingerenze esterne. E' la politica della Cina, dell'India, del Brasile, di tutte le potenze emergenti, ricorda Rodrik, descrivendo la globalizzazione come un processo in corso che, però, dovrà fare ancora a lungo i conti con la forza e le esigenze degli stati-nazione.
Visione realistica, appunto, che gli consente di osservare le realtà senza deformarla con gli occhiali del globalismo ideologico. E di constatare al tempo stesso che - «ogni regola ha l'eccezione che la conferma» - l'Unione europea sta tentando di darsi «istituzioni e regole globali in un ambito regionale.» Con alcuni successi, la moneta unica, e molte resistenze quando si tratta di ragionare su politiche fiscali e welfare. Su questi terreni gli antichi stati-nazione non mollano la presa.
Nasce da questa contraddizione il "caso Grecia" e del suo default sovrano, il cui salvataggio fa storcere la bocca alla Merkel - non solo a lei - poco incline a pagare con gli euro tedeschi le mani bucate della cicala mediterranea. Se però prevarrà questo atteggiamento, ha aggiunto, «l'uscita dall'euro di Atene, ma anche di altri Paesi sarà inevitabile.»
E' il dilemma che l'Unione dovrà sciogliere: rinunciare alla sua integrazione oppure «puntare su un'Europa più unita, federale e con politiche fiscali omogenee.» E' quest'ultima l'opzione che Rodrik pare preferire, ma senza illusioni: «Sono processi che richiedono tempo, gli Stati Uniti per raggiungere l'assetto federale ci hanno messo un secolo ed hanno combattuto una guerra civile.» Insomma alla storia, fatta di politica e di economia, non bisogna mettere fretta anche se è vero che talvolta la politica può dare una spinta all'economia.
Messe da parte le fallaci teorie dei mercati che si autoequilibrano (smentite dalla crisi in cui ancora annaspiamo), Rodrik propone di osservare il futuro globale come un processo che, in assenza di irrealizzabili (per ora) regole globali, ci regalerà instabilità, inefficienze, crisi ricorrenti, tutti squilibri che dovranno essere governati. E', questa, l'unica previsione che si è concessa: il mercato segue le sue strade, tocca ancora agli stati-nazione regolarne gli effetti, sopratutto quelli indesiderati. Una visione keynesiana in versione globalizzata. Accompagnata, se si vuole, dallo sguardo del governatore Ferrer che, per salvare dal furore popolare l'incauto regolatore del prezzo del pane, esortava «adelante Pedro, con juicio.» Una diagnosi ed una ricetta ragionevoli. Il pubblico, sala Depero colma, ha apprezzato.
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