Cartiere, nuovo stop di tre giorni

Macchine ferme dal 17 al 20 maggio: lavoratori in ferie o in cassa integrazione


di Matteo Cassol


RIVA. Nuovo cosiddetto "pit-stop", alle Cartiere del Garda: dopo le tre di due giorni nei weekend di febbraio e l'ultima, più corposa, a fine aprile (da mercoledì 24 a domenica 28), la direzione dello stabilimento rivano ha deciso di indire una nuova fermata, con le macchine che verranno stoppate dalle 13 di venerdì prossimo (17 maggio) e riattivate alle 5 di lunedì 20, col turno del mattino. Come già nella precedente occasione, chi non ha ferie arretrate da smaltire e non vuole attingere a quelle del 2013 potrà far ricorso alla cassa integrazione. La scorsa volta, ha usufruito di questo istituto un'ottantina di lavoratori.

La situazione, dunque, rimane critica, condizionata da un mercato che nel mondo della carta e in generale non dà segnali di ripresa. I sindacati sono tornati a chiedere lumi all'azienda, ma la risposta è stata la stessa degli ultimi tempi: le prospettive non vanno oltre i due giorni coperti o meno dagli ordinativi, dopodiché non è possibile fare previsioni sul futuro. Rimane la speranza di un miglioramento con giugno e luglio, ma alla luce di tutte le considerazioni del caso e dell'interconnessione di quello cartaio con altri settori ancora più in crisi, si tratta sempre di un auspicio più che di una previsione motivata.

Anche in questo caso il "pit-stop" avrà un impatto sul salario dei dipendenti, penalizzati in maniera variabile (a seconda delle turnazioni e delle ferie residue a disposizione), con l'aggiunta pure della soppressione della festività lavorata, che in busta paga "vale" il doppio: un giorno in cassa integrazione, invece, viene pagato l'ottanta per cento di uno passato effettivamente in fabbrica, con anche le ferie che comportano la perdita di una parte di indennità. Altri piccoli sacrifici che vanno ad aggiungersi alla sostanziale abolizione degli straordinari, al già effettuato taglio (del dieci per cento) al premio di risultato di produttività, dal rincaro del prezzo della mensa (prima l’azienda “passava” il 70 per cento, ora il 60) all’adozione del salario d’ingresso per 18 mesi per i neoassunti (per un totale di 500.000 euro all’anno di risparmio per l’azienda) e all'accordo di fine febbraio con cui i dipendenti si erano ritrovati costretti ad accettare tagli allo stipendio (da un minimo di 1.158 a un massimo di 2.861 euro netti in meno, a seconda della posizione).

Dal punto di vista dei limiti della cassa integrazione, non dovrebbero esserci problemi: un lavoratore può rimanerci per cinquantadue settimane su due anni, ma anche solo avvicinarsi lontanamente a questo orizzonte nel concreto sarebbe devastante, poiché significherebbe che, anziché risollevarsi, il mercato avrebbe subito un ulteriore affossamento.













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