Candidati, guardate Lincoln. Per riscoprire la politica vera

Il miracolo del film è che ci si può emozionare ancora per la democrazia


di Paolo Mantovan


Quanti appelli ai candidati. Ma sarebbe bello se, prima del termine della campagna elettorale, i candidati spendessero un paio d'ore per vedere un film. Un film sulla politica, sul profondo senso della politica. Pensate che in questo film c'è un tipo che dice: "Il nostro partito non ha mai sostenuto niente all'unanimità" (e non è Bersani) e un altro che precisa: "Non mi hanno mandato via. Ho acconsentito a dimettermi" (e non è Berlusconi).
È il film di Spielberg su Lincoln. Su una "storia" di 150 anni fa. Da consigliare assolutamente a tutti i candidati.

È un film che chiarisce (fin dalla primissima scena) che la politica è lotta nel fango, certo, che richiama al superamento di ogni ingenuità e purezza, che costringe anche a sotterfugi, ma che, in democrazia, ha sempre grandi potenzialità di futuro. Spielberg costruisce un film attorno a Lincoln per dire che la grande forza della democrazia è indissolubilmente legata al primato della politica. Potete guardare il film concentrandovi sulla figura di Lincoln, un gigante – letteralmente – o il vero Principe machiavellico. Potete fare dei rimandi all'attualità e convincervi che Lincoln era molto più bravo di Berlusconi a raccontare storielle e aneddoti, o che era più cocciuto di D'Alema, che diceva qualche frottola meglio di Giannino, che non aveva neppure un millesimo dell'aggressività di Grillo. Ma se cominciate a pensare al concetto di democrazia che si incarna nel personaggio e che ruota su di lui (che poi, il Lincoln che vedete sullo schermo, nonostante la ricostruzione storica, rimane pur sempre un prodotto artistico e una suggestione interiore) troverete un significato molto più profondo rispetto a ciò che un uomo, persino il presidente più venerato (venerazione postuma, ovviamente), può realizzare.

Vi avverto. La prima parte può risultare complessa o ingarbugliata, tanto quanto riesce coinvolgente la parte finale. Ho visto qualche spettatore sbadigliare nel primo tempo, ho visto altri (spettatrici e spettatori) versare lacrime nel secondo tempo. Fino a quando Lincoln, nel film, rimane agganciato alla narrazione delle strategie e delle schermaglie, non si entra davvero nel vivo: il presidente sembra quasi un alieno, un uomo catapultato in quell'epoca con alcune idee salde, un grande carisma, la spregiudicatezza di chi sa comprare i voti, una capacità affabulatoria nettamente superiore alla media e pare quasi un incidente che quell'uomo pensi all'eliminazione della schiavitù. E invece non è Lincoln il centro di tutto, bensì l'idea di democrazia che il regista cerca di scolpire attraverso Lincoln.

Al punto che l'idea diviene chiara e prende forma non appena si dipana l'intreccio con la vita privata. L'essere marito e padre, innanzitutto, e il profondo dolore che Lincoln raccoglie dentro di sé per la perdita di uno dei figli e nel timore che un altro possa morirgli arruolandosi, riesce finalmente a chiarire che non c'è un extraterrestre, ma l'uomo, nella sua interezza, di fronte alle grandi scelte della vita. Ebbene la politica altro non è che questo. Grandi scelte, continuamente, di donne e di uomini di fronte ai loro figli, di fronte ai drammi che segnano la vita, di fronte alle grandi tragedie del sangue versato nella guerra (di Secessione, nel film), la guerra che ora si gioca sul piano della precarietà, della mancanza di lavoro, dell'azienda che fallisce, dei principi da salvaguardare o da affermare. E quindi non si tratta di un gioco, né di uno “schifo” evitabile. E soprattutto non ci sono colpevoli e innocenti. Ci siamo noi, tutti, in “gioco”. Anche 150 anni fa c'era corruzione, anche ai tempi di Lincoln, e con Lincoln, c'era spregiudicatezza. Forse ora c'è più individualismo e l'etica è in soffitta. Ma, ve lo giuro, non dipende solo dai politici. Anche se conservano tuttora troppi privilegi. E non saranno quelli che tirano loro un colpo di pistola a salvare la democrazia. La democrazia si costruisce con pazienza. Uno dei momenti che svela le intenzioni del regista Spielberg, peraltro, è uno dei pochi in cui non compare Lincoln, ossia il momento in cui il capo dei radicali, Stevens, decide di dire che il tredicesimo emendamento, con l'abolizione della schiavitù, non vuole affermare l'uguaglianza naturale fra razze, ma solo l'uguaglianza di fronte alla legge. Lo fa per disinnescare la mina razziale, per portare a casa il risultato. Eppure, mentre lo dice, rinnega se stesso, e sembra tradire decenni di vita vissuta lottando per l'uguaglianza. Ma nel fango del tradimento, Stevens ottiene uno dei risultati più importanti. E' un sacrificio. Ma, come potete capire, diventa “il” sacrificio, il modo per ottenere il premio finale. Certo, qui entriamo nel campo machiavellico del fine che giustifica i mezzi. E tutto il film è piegato su questa visione. Anche se non sembra essere questo il messaggio fondamentale. Il vero messaggio è la grandezza della posta in gioco: le regole della convivenza, per la pace e per la democrazia.

Ai candidati farà bene un ripasso, con Lincoln, dell'abc della politica vera, quella del senso profondo dell'essere comunità seppure in mezzo ad armi, a mazzette, alla nostra pochezza: lì in mezzo (dove forse l'umanità è costretta inevitabilmente a trovarsi) può e deve sopravvivere anche la nostra grandezza, l'unica possibile, quella che guarda lontano, quella di Lincoln che sta, nel suo sogno-incubo, da solo su di una nave che velocemente corre verso terra o verso gli scogli. Farà bene capire (ai candidati, ma anche ai cittadini che vogliono sperare ancora) che non bisogna mai arrendersi, che non c'è solo tattica, che i capolavori si realizzano solo con grandissima fatica, con l'incrollabile desiderio di guardare oltre. A chi ha voglia di credere ancora nel futuro il film di Spielberg (con un «Lincoln - Day-Lewis» strepitoso) regala una cosa che non vediamo da tanto: la politica emozionante. Farà bene ai candidati. E anche ad alcuni elettori.

Paolo Mantovan

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