«L’accoglienza oggi è una grande responsabilità» 

Il richiamo del vescovo Tisi: «Le diversità simboleggiano la bellezza del cuore di Dio». Dopo la messa canti e balli


di Sara Bassetti


RIVA. Musica, danze e tradizioni di decine di Paesi lontani uniti sotto “un’unica bandiera”, quella del rispetto delle diversità. È stato un tripudio di colori e di gioia l’edizione trentina della “Festa del migrante e del rifugiato”, la manifestazione dedicata alla fraternità e all’accoglienza delle civiltà e dei popoli diversi organizzata dall’Arcidiocesi di Trento e dai Decanati di Riva del Garda, Ledro, Arco e Calavino, con la collaborazione dell’associazione Trentini nel Mondo, che è stata celebrata ieri a Riva.

Oltre trecento persone, in rappresentanza delle diverse comunità nazionali presenti in Trentino, con le proprie bandiere e i costumi tipici, si sono riunite nella Chiesa di Santa Maria Assunta, per la celebrazione della Santa Messa, prima di raggiungere il Palazzo dei Congressi, dove la festa è proseguita fino alla sera tra intrattenimenti musicali, balli e testimonianze di accoglienza reciproca.

«La storia compie giri tortuosi per poi ripresentarsi ciclicamente, sempre uguale a sé stessa - ha ricordato l’arcivescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi, durante la cerimonia, concelebrata con molti sacerdoti provenienti da varie parti del mondo e accompagnata da cori multietnici, a cui erano presenti anche molte autorità civili in rappresentanza dei Comuni altogardesani - poco più di cento anni fa il nostro popolo migrava in massa verso l’ignoto, in cerca di quel futuro che l’Italia sembrava non poter offrire. In tempi più recenti, invece, il nostro Paese è diventato la terra promessa per molti migranti che, spesso, solcano i mari alla ricerca di una speranza. L’accoglienza è una grande responsabilità che la Chiesa intende condividere con tutti i credenti, chiamati a rispondere alle sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità e saggezza, ciascuno secondo le proprie possibilità».

È stata una celebrazione all’insegna della bellezza e dell’originalità delle tradizioni, delle lingue e delle espressioni diverse, in cui, tra gli altri momenti, è stata letta la Bibbia in rumeno ed è risuonato un canto pakistano. «Diversità che, unite, simboleggiano la bellezza, la fantasia e l’originalità del cuore di Dio, che declina tutto al plurale, e una primavera di speranza – ha aggiunto l’arcivescovo – il mondo oggi ha bisogno di gente che butti nella mischia amore gratuito e, soprattutto, di gente che abbia voglia di chiamarsi fratello e sorella».

«Nella globalizzazione che viviamo oggi la migrazione dei popoli, l’interagire delle culture, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione hanno trasformato il mondo da un villaggio a una sola città che raccoglie l’universalità – ha ricordato il missionario verbitiano, Padre Gianfranco Maronese - le migrazioni sono sempre esistite e non bisogna dimenticare che la libertà di movimento, come quella di lasciare il proprio Paese e di farvi ritorno, appartiene ai diritti fondamentali dell’uomo. Occorre, dunque, slegarsi dalle paure ancestrali su cui spesso si fa leva parlando di questo tema, uscire da una diffusa retorica sull’argomento e partire dalla considerazione essenziale che davanti a noi ci sono, innanzitutto, persone».

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