Gibo Simoni svela le rampe del Gardeccia
Anteprima: il due volte vincitore della Corsa Rosa sui tornanti che decideranno il Giro
GARDECCIA. Salita, salita vera. Di quelle che, nei primi anni del terzo millennio, avrebbe fatto la fortuna di Gilberto Simoni. E' l'ascesa del Gardeccia (val di Fassa), che domenica 22 maggio chiuderà la 15esima tappa del Giro d'Italia e, con tutta probabilità, contribuirà a dire chi questo Giro lo potrà vincere e chi assolutamente no. Quello di quest'anno è il primo Giro d'Italia senza Gibo, uno dei massimi "esperti" della corsa rosa con le sue due vittorie assolute e gli altri cinque podi finali. Gibo che, ieri, ha provato la salita fassana per noi. Come l'ha trovata? «Dura è dura. È una salita in tre volte, molto irregolare, che quindi stanca meno di molte altre a livello mentale e con un paesaggio da favola. Nel primo tratto, veramente impegnativo (16-17%), ci sarà la resa di molti corridori, anche se la battaglia vera sarà nella seconda parte». Impensabile un attacco fin dalle prime rampe? «Non è impensabile, ma attenzione a scattare subito, perché non si arriva in cima. Il primo chilometro è terribile, davvero tosto. Se non lo si digerisce, l'arrivo si sposta sempre più in alto». Quanto inciderà sulla classifica la tappa fassana? «Dipende da come verrà affrontata. Dopo il primo chilometro, potrebbero esserci corridori già spacciati, ma, qualora dovessero riuscire ad uscirne vivi, potrebbero poi recuperare, a prendere il giusto ritmo ed a tenere il passo dei migliori fino all'ultimo chilometro. Non è una salita come lo Zoncolan o l'Alpe di Pampeago, che non concedono respiro. Qui c'è la possibilità di recuperare». Quindi potrebbe essere meno decisiva di quanto si potesse pensare? «Potrebbe anche succedere che, visto l'arrivo del giorno prima allo Zoncolan, nella tappa fassana i corridori si accontentino di arrivare al traguardo e si limitino a correre in difesa, lasciando arrivare l'eventuale fuga di giornata. Obiettivamente quello di quest'anno è un Giro d'Italia troppo duro. Io ne ho mai corso uno così». E oggi, più di un tempo, è difficile fare selezione. «Ai tempi di Francesco Moser, i corridori salivano con il 42x27, oltre non si andava. O giravano le gambe o i pedali non li si buttava giù nemmeno col martello. La selezione si creava per forza di cose ed il fatto che oggi se ne faccia meno è legato soprattutto al rapporto. Ora si usa il 39x29 o il 34x29. Ognuno può trovare il proprio rapporto e salire. È cambiata la mentalità e il modo di correre. Anche i non specialisti possono difendersi e guadagnare terreno altrove. Nelle prove a cronometro ad esempio». Lei come affronterebbe la salita finale? «Fossi io a dover e voler vincere il Giro inizierei ad attaccare già sul Fedaia, quanto meno per capire che aria tira: da corridore puntavo a spaccare le gambe ai miei avversari. Tasterei il terreno sulle rampe del Fedaia e prenderei a "tutta" dal primo metro la salita conclusiva. Ma penso che nessuno lo farà. Si deciderà tutto negli ultimi tre chilometri». Chi è il suo favorito per la tappa fassana? «Io vedo bene Scarponi. E attenti a Contador: potrebbe soffrirla più di tanti altri. Non ho mai visto lo spagnolo brillare su salite dure. Nibali? In Spagna lo scorso anno ha sorpreso, ma aveva il morale alle stelle». E per la vittoria finale del Giro d'Italia? «Ancora Scarponi. Non può perdere questa occasione e poi, sinceramente, non vedo dove Nibali possa fare la differenza: lo scorso anno la Liquigas guadagnò un'enormità nella cronosquadre. Quest'anno è diverso. Io punto su Michele: potrebbe avere altre occasioni, ma questa penso sia la più bella». Quello di quest'anno è il primo Giro senza Gibo. Che sensazioni si provano seguendo la corsa rosa in televisione? «Purtroppo, più che senza Gibo, quello di quest'anno è un Giro senza un corridore trentino. Per quanto mi riguarda, ero pronto a questo tipo di distacco. L'ultimo anno in cui ho pensato di poter vincere la corsa rosa è stato il 2008, poi ho capito che per ogni corridore c'è un percorso di crescita, di stabilità e di calo. Io ero in quest'ultima fase. Nel 2009 ho fatto veramente tanta fatica e allora ho pensato al 2010 come all'anno dei saluti. E visto come è iniziato questo Giro, col dramma di Weuter Weylandt, forse è meglio averlo seguito da casa... purtroppo, sono cose che possono succedere, ma viverle in corsa segna parecchio il morale».
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