Il Circolo operaio è centenario
Il quartiere era il centro della vita produttiva cittadina. Ora il rilancio
ROVERETO. Lo statuto vieta di svolgere attività politica e sindacale ma è ben noto che, almeno al tempo, la matrice era socialista. Il Circolo operaio di Santa Maria compie cent'anni. D'altronde cos'altro poteva essere un quartiere caratterizzato da un contorno di nastrifici, concerie, cartiera, ciabattini e fabbri. Per l'epoca il cuore della vita operaia e dell'attività produttiva cittadina. La prima sede fu in vicolo Paiari. Dal 1920 è in via Santa Maria, al civico 18, stabile acquistato per 53 mila lire di cui 40 con un prestito bancario per il quale garantì personalmente, con una cambiale di pari valore, il primo presidente, Pietro Colombo. Da qualche settimana la sede è chiusa. Il bar cambierà gestione e, al piano superiore, il giardino dove c'è il campo da bocce e il bel teatrino d'epoca sul cui palco recitavano le filodrammatiche con Nino Berti, Bianca Toldo e Guido Miotto, sarà rimesso a nuovo. Il direttivo, presieduto da quasi 40 anni da Alfredo Slaifer, ci lavora prevedendone la riapertura per metà aprile. Certo, il passare dei decenni - dai tempi in cui i presidenti rispondevano ai nomi del fabbro Pietro Colombo e di Augusto Bini, pioniere dell'industria meccanica roveretana - ha segnato la vita del Circolo che ha visto tra i suoi soci anche Angelo Bini, uno dei capostipiti, insieme ad Angelo Marsilli, del salumificio. Lo scorrere inesorabile degli anni, l'evoluzione economica e sociale, hanno inciso, in parallelo, sullo sviluppo del quartiere e del suo Circolo. Tra marginalità e tentativi di risveglio. «Ora intendiamo far ritornare il Circolo - riflette l'ex assessore Renzo Azzolini che fa parte del direttivo - uno dei punti di riferimento del rione». Come la storia ha sentenziato, non saranno più i tempi della cartiera Ati, dell'oleificio Costa, della fonderia Zanetti, delle officine Bini-Matteotti-Belli, della conceria Bettini. Periodi, senza mitizzare, in cui, comunque la si pensi, la solidarietà comunitaria era il dna del rione. Come quando, nel secondo dopoguerra (dopo l'inevitabile trasformazione in Dopolavoro durante il fascismo), per ricostruire l'oratorio i santamarioti andarono di fabbrica in fabbrica a chiedere, ottenendolo, un contributo equivalente ad un'ora di lavoro per ogni dipendente. Un senso di appartenenza ben riassunto dalla ricostruzione del cimitero, distrutto dalle bombe Alleate, grazie al lavoro gratuito di tanti e al progetto dell'architetto Nane Tiella. Anni a cui seguì il boom economico, quando gli abitanti arrivavano in sede per seguire in tv il "Telematch" di Enzo Tortora e "Lascia o raddoppia" condotto da Mike Bongiorno. Ma anche tempi, successivamente, di crisi e individualismo post-industriale tanto che, a metà dei Novanta, gran parte dell'edificio fu venduto per far fronte alle difficoltà economiche, alla diminuzione dei soci, e di operai e artigiani. Causando, per un paio d'anni, la chiusura della sede. Ora, alla ricerca dello spirito "zinevrino" di un tempo, la cinquantina di soci rilancia. Sulla falsa riga di quegli articoli dello statuto in cui, fosse stato sciolto il Circolo, i beni sarebbero andati al vicino asilo Clementino Vannetti. Solidarietà di ieri, mai vecchia o da rottamare. O, almeno, questo è l'augurio.
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